martedì 7 gennaio 2020

VIAGGIO AD YPRES E LA DONNA DI BRUXELLES.

Spanking, Ass, Teen Ottom Jessica Utt


Ho sempre subito l'attrazione verso località dove sono accadute delle tragedie, dove una moltitudine di persone hanno perso la vita, insomma… nello specifico, dove si sono combattute delle battaglie sanguinose.

Non so se altri hanno la mia particolare sensibilità, forse è più comune di quanto io creda, ma si... io sento la voce di chi è morto violentemente, non che possa distinguere le parole vere e proprie in quel loro confuso vociare comune ma sento le urla di dolore, le imprecazioni e le richieste di aiuto e so cosa vorrebbero veramente, raccontarsi, far sapere la loro storia e così vivere nel ricordo di qualcuno.

Io? Di questo dovrei scrivere, fare il salto di qualità, non solo sesso.

Forse sono un sensitivo?

Che abbia una specie di legame inspiegabile con il mondo dell'occulto? Forse si o almeno qualcosa, ricordo le mie esperienze particolari con i tarocchi.

Viaggiare, pensare, riflettere… so che alla fine sono anche viaggi nel mio interiore.

Io visito questi posti, mi fermo e li sento.

Non posso far nulla per loro, per chi mi rivolge queste richieste, alle urla di rabbia, di dolore. Ma forse a loro... ai morti, basta essere sentiti? Ricordati? Riportati per un momento a vivere i loro ultimi istanti?

Questa mia necessità mi aveva portato in posti molto diversi, nella foresta di Teutoburgo, dove i legionari romani di Varo furono sterminati dai Germani di Arminio, oppure sulle spiagge della Normandia o ancora a Famagosta, a Cipro, per sentire le urla di Bragadin e dei Veneziani scuoiati vivi dai turchi e così in altre decine di posti, all'Ortigara sull'altipiano di Asiago, al Monte Nero sulle Alpi carniche, sulla piana di Canne. Ma cosa mi spingeva a cercare e vivere queste cose?

Diciamolo... odiavo e odio la guerra, penso che morire in guerra è stupido, uno spreco di risorse e potenzialità, convinto che se il mondo fosse guidato da persone ragionevoli si arriverebbe presto a stabilire che le guerre non risolvono i problemi, con meno falso orgoglio e presunzione razziale, politica, di classe e con un minimo di ragionevolezza si riuscirebbe sempre ad arrivare alla risoluzione pacifica dei problemi.

Ma si sa, l'uomo è un soggetto strano, appena è in grado e ne ha il potere, vuol giocare con la vita dei suoi simili e portarli al disastro e la storia non insegna nulla, si ripetono sempre le medesime cose.

In quella occasione particolare mi attirava un viaggio al nord della Francia e in Belgio. Intendevo percorrere grosso modo il corso discendente del Reno, visitare le fortificazioni della Linea Maginot e arrivare nei luoghi scenario delle battaglie di Ypres e di Verdun. Per inciso, la Linea Maginot, è un classico esempio di opera militare gigantesca e fondamentalmente inutile, costruita fra le due guerre, oggetto di una spesa enorme, di spreco di denaro pubblico e di nessun valore difensivo dato che i nazisti passarono dal Belgio beffandosi bellamente del possente baluardo di fortificazioni, casematte, zone minate e di terre da inondare in caso di necessità. Nessuna fortificazione, né il Vallo di Adriano, né quello Atlantico, neppure la Grande Muraglia ha potuto contenere la temuta invasione.

Devo necessariamente riportare alcune notizie storiche prima di arrivare a parlare di Hélène, la donna di Bruxelles.

Si può dire che la zona di Ypres e Verdun è un vero cimitero con i morti accatastati gli uni sugli altri che giacciono ancora appena sotto la superficie del terreno.

Prima battaglia di Ypres, 1914 e seconda, 1915: complessivamente 500.000 morti. Battaglia di Verdun, 1916: 700.000 morti.

Ypres è anche ricordata per aver dato il nome all'iprite, il gas velenoso al cloro usato dai tedeschi per la prima volta nella storia.

Di solito durante questi viaggi volevo andare solo e senza un vero programma se non quello di arrivare a destino. Mi fermavo a volte preso da curiosità che nulla avevano da fare con l'intento del viaggio, ripartivo.



In quel periodo c'era Hélène.

Aveva alcune particolarità che mi avevano incuriosito, intanto era una autrice di racconti di un erotismo soft, proprio il mio contrario, ma si sa che gli opposti si attirano. Avevamo un contatto puramente epistolare o meglio... via web e non che fosse intenso, ma di certo eravamo attratti da una cosa... ambedue eravamo strani. Ognuno dei due con un tarlo nella mente che non era possibile tacitare.

Il suo tarlo?

Il suo patrigno, che dal momento che si era insediato nella casa di sua madre aveva preso a punirla severamente per ogni sciocchezza, sculacciandola crudelmente con assoluta quotidianità, fosse solo questo, ma perché intuivo che c'erano cose che non voleva rivelare? Perché quando parlavamo di sesso non accennava mai alla sua figa e invece del culo ne parlava frequentemente?

Quando mi disse una volta... “dovrai sodomizzami violentemente!”, cosa aveva in mente? Richiamava un episodio del suo passato? Qualcosa che aveva vissuto?

Insomma pensavo che il patrigno l'avesse violentata e che questo avesse scardinato la struttura della sua sessualità. Perché le sue foto, a parte un paio del viso, erano dedicate solo al suo culo? Bello peraltro, dava l'impressione della morbidezza ed era... largo.

Come tutti aveva una personalità tipo Giano Bifronte, un lato rivolto alla luce e un lato oscuro. Il suo lato oscuro? Quello di rivivere nella mente quei momenti particolari, il ricordo delle sculacciate feroci la portava a colpirsi da sola col battipanni o altro sul culo fino ad averlo rosso e dolorante. Mi proponeva questo in effetti, sculacciarla, il suo interesse primario era rivolto alle mie mani, larghe e pesanti le voleva, ma prevedeva anche il violentarla forse? Il suo trascorso, da come me lo aveva rivelato, mi aveva ispirato un racconto, “Lo zio e Hélène”, un polpettone porno di sculacciate e sesso che le era piaciuto, a me un po' meno.

Era una donna di trent'anni, morbidamente curvy, belga di lingua francese ma parlava benissimo italiano dato che si era laureata a Roma con un lascito testamentario del suo padre naturale, avvocato, che voleva ripetesse il suo percorso di studi alla Università Lateranense.

Comunque per quanto la nostra conoscenza fosse di interesse puramente sessuale, non mi attirava certo l'idea di andare a Bruxelles per una scopata. Vero che in passato avevo fatto ben di più ma era comunque un altro tipo di attrazione, molto più forte. Ricordo il mio massimo... Malaga, ma di solito restavo aderente, per pigrizia, al mio motto: “possibilmente scopare a km. 0” o almeno nel giro di un paio di ore di macchina. Ma ero stanco di questo, perché questi incontri mi lasciavano sempre più un senso di nausea. Un rigetto. Potevo fare le recensioni degli alberghi vicino alla stazione ferroviaria di molte città da Bologna in su.

Mi sorprese un po' la sua proposta dopo che accennai al mio viaggio e alla mia meta finale, Ypres in Belgio. Non le parlai del vero perché, accennai ad un articolo per una rivista.

Il mio ragazzo è via per una settimana in quel periodo, vieni a trovarmi? Puoi stare da me...”

Intendeva a Bruxelles, città per la quale non avevo e non ho nessuna simpatia. E intendeva più di un giorno? Non penso che esista donna che possa sopportarmi per un periodo così lungo! Ho un mucchio di riserve mentali sul dormire con donne che non conosco e sono così mal abituato che spesso mi rompo le balle da solo.

Comunque era fattibile, da Ypres a Bruxelles c'era un'ora di treno, potevo lasciare la macchina la mattina, raggiungerla e a sera tornare. Ma più di un giorno? Dormire da lei? Impossibile... solo a pensarci avevo i brividi. Non sono uomo da due giorni, sono “da una scopata e via”, sono o meglio ero, "un uomo a ore".



Dopo aver visitato l'Abbazia di Huatvillers e le cantine nel tufo della zona dello champagne arrivai a Verdun, al villaggio di Fleury-devant-Douaumont che non è mai stato ricostruito, è tutt'ora in rovina senza un abitante, un omaggio perpetuo al sacrificio di quel tempo. Mi fermai lì vicino e dormii in macchina, mi aggirai per due giorni nei luoghi della battaglia ascoltando le grida, le proteste, le richieste di sapere se il loro sacrificio era valso a migliorare il mondo e io cosa potevo rispondere?

Che erano morti invano?

Mi sarebbe piaciuto invece farmi raccontare le loro storie, il luogo da dove provenivano, delle loro famiglie, le mogli, le fidanzate, scriverne, ma il vociare era assordante ed era impossibile non restare contagiati dalla loro immensa disperazione.

Pensai quindi che mi era necessaria una pausa prima di andare a Ypres e che dovevo far coincidere l'incontro con Hélène con la partenza del suo compagno e andai per qualche giorno a Beauvais.

Beauvais, ai miei occhi, è interessante per la sua cattedrale, dedicata a San Pietro, iniziata nel milleduecento e mai davvero terminata, ha le navate più alte di tutte le “fabbriche” gotiche, oltre i quarantotto metri, ma non solo, al solito è un esempio della pazzia umana, la sua costruzione aveva l'ambizione di diventare l'edificio più alto del mondo! Quella era la febbre che spingeva la costruzione di questi grandi edifici religiosi che comportavano sacrifici e impegno anche per secoli e di migliaia di persone. Essere il più alto edificio religioso, il più vicino a Dio! Il più meritevole dell'interesse divino! Era quella la febbre ambiziosa delle varie città medievali francesi.

Solo che la fede non può sostituire le regole statiche e nonostante la vigile attenzione divina, l'ambiziosa torre campanaria di tre piani e una sottile guglia alta 153 metri, nel 1573... poco dopo terminata, crollò rovinosamente danneggiando tutta la chiesa.

Follia religiosa? Non meno pericolosa di quella bellica, caratteristiche che spesso vanno drasticamente di concerto.

Non sapevano la storia della Torre di Babele? Dio, già allora, non aveva permesso che si arrivasse al cielo!



Ypres.

Lo stesso, incessante insieme di voci.

Mi sdraiai sull'erba fra i molti papaveri rossi e rilessi le parole di John McCrae, lì morto nel 1918:



Nei campi delle Fiandre, fra le croci

Che in file ordinate il nostro posto

Segnano, fioriscono i papaveri.

Nel cielo, cantando, volano le allodole

-ci vuole coraggio per farlo- e il loro canto

Si perde a terra, fra il tuono delle armi.

Noi siamo i morti che la guerra uccise.

Non molti giorni fa eravamo vivi,

Sorgeva l’alba e tramontava il sole,

Avevamo chi amare e chi ci amava

e ora giacciamo nei campi delle Fiandre.

Tocca a voi combattere il nemico.

A voi noi consegniamo con le mani stanche

questa torcia perché alta la teniate.

Se voi verrete meno alla promessa,

noi, i morti che la guerra uccise,

non avremo mai pace, anche se in fiore

nei campi delle Fiandre, a centinaia

continueranno a crescere i papaveri.



Il vero nemico? E' l’assenza di ogni memoria storica.



Ero in contatto con H. aspettavo il suo via.

Ora... era chiaro che se non fossi già a Ypres non mi sarei mai sognato di andare a Bruxelles a trovarla, non ero così interessato, non mi eccitava, ma già che ero ad un'ora di treno?

Poi? Sapevo quello che desiderava lei ma quale era il mio interesse? Sculacciarla?

Per quanto avesse un bel culone non mi pareva abbastanza, alle mie reiterate richieste di conferma, che volevo di più, volevo far sesso, rispondeva evasivamente. Sculacciarla? Tanto da farla piangere? Era quello che mi chiedeva e non rientrava fra le mie preferenze sessuali.

Insomma... senza un vero entusiasmo presi il treno e ci incontrammo al mio arrivo, era come da sua descrizione, non molto alta, gradevolmente abbondante, specialmente di culo, largo.

Bevemmo un caffè e notai una cosa, il suo sguardo era incatenato alle mie mani, le guardava... le guardava e questo le dava una emozione visibile, si leccava di continuo le labbra, avvicinava e distanziava nervosamente le gambe fra loro. Era evidentemente eccitata e questo mi coinvolse, ora avevo voglia di sculacciarlo quel suo grosso culo!

Una rapida corsa in metro, due passi a piedi ed eravamo a casa sua, si assentò brevemente e al ritorno era trasformata, evidentemente pronta alla parte da interpretare.

Una gonna grigia a pieghe, camicetta bianca chiusa fino al collo, calzettoni, i capelli sistemati in due code da adolescente. Il mio ruolo? Quello del castigatore feroce e a quello mi adattai. Alla fine mettevo in pratica l'aspetto camaleontico del mio modo di far sesso.

La ripresi duramente, dicendole quanto era stupida, una sciocca culona senza cervello, che meritava la punizione che presto avrebbe ricevuto.

La tirai sulle mie ginocchia e scoprendole il grosso culo iniziai. Colpi su colpi che arrossavano istantaneamente la carne delicata. Il rumore forte dei colpi mi eccitava e mentre la colpivo andavo via via a spogliarla, la camicetta, il reggiseno bianco e castigato come le mutandine, la gonna. Restavano solo i calzettoni e le scarpe basse di vernice nera. Oltre a colpirla senza sosta ora le palpavo violento le tette, strizzavo i suoi capezzoli e li tiravo in fuori causandole ulteriore dolore, ma questo desiderava, essere punita, essere umiliata, soffrire e lo dimostrava la sua figa grondante, era tanto bagnata che i suoi umori lasciavano traccia sul mio pantalone. Ora erano le mie dita dentro di lei ad aumentare il flusso dei suoi umori, evidente che godeva ma altrettanto evidente il fatto che fosse la sculacciata feroce, le parole con le quali la offendevo, a darle la maggior parte del piacere.

Presi a minacciarla di rompere il suo grosso culo, avevo smesso di colpirlo e ora lo accarezzavo, aprivo quelle grosse chiappe e toccavo il suo buco scuro, le dicevo di come l'avrei scopata. Riempita di cazzo! Rotta proprio! Lei si liberò e dal pavimento dove era ora in ginocchio iniziò a pregarmi di non farlo, di non farle del male, era in pieno coinvolgimento mentale, viveva il momento, riviveva quella particolare violenza con il patrigno, era tornata la adolescente di allora.

Momenti di dubbio?

Su quello che stavo facendo?

Si... ci fu quasi un attimo di rifiuto, il disgusto verso me stesso, pronto a ogni cosa pur di soddisfare la libidine. Ma poi… una constatazione, il suo buco del culo era abbondantemente lubrificato da abbondante gel, pronto per essere abusato.

Tutto era previsto, tutto era programmato.

Non ero il primo, non sarei stato l'ultimo.

Questo mi tolse ogni scrupolo, affondai nel suo culo… incurante delle sue urla, del suo pianto, convinto che fosse questo che voleva, rivivere la violenza originale.

Che godesse ne ero certo.

I singulti che interrompevano le crisi di pianto, lo spingere del suo culo verso il cazzo come per farsi penetrare di più.

Infine il mio orgasmo, sborrai dentro di lei.

Subito dopo?

La domanda se ne era valsa la pena.

Naturalmente la risposta era negativa, no… scopare così non porta da nessuna parte, aumenta la propria disistima, il proprio scontento, contribuisce al mal di vivere.

Non so lei, sembrava soddisfatta.

Conoscevo quella sensazione, il bisogno, il cedere poi il senso di liberazione e la clessidra ricomincia a svuotarsi nella parte sottostante, la riempie e si torna in ballo.

Ora era tranquilla.

Avevo fretta di andarmene e lei di lasciarmi andare.

Perché, mi chiedevo in treno, mi rendo disponibile a questo?

Tutto per diminuire ancora di più la poca stima di me stesso?

O… era colpa del mio peccato originale?



A Ypres ripresi la macchina e andai a distendermi fra i papaveri. Mi addormentai sull'erba.

Era ora di tornare a casa. Il viaggio era finito.

Il paradosso della memoria:

I morti vorrebbero essere ricordati, i vivi vorrebbero dimenticare.



È la vita.

Tibet.

4 commenti:

Ambra ha detto...

I tuoi sono racconti di vita, Tibet... Questo è diverso dal solito: il sesso è sullo sfondo mentre l'introspezione è centrale. E' a tratti angosciante, sia per il rapporto con Hélène, che per il resto, si sente la disperazione.
L'assenza di memoria storica è pericolosa...Bella la poesia di McCrae.
Un racconto speciale. Fa riflettere.

Tibet ha detto...

Ti ringrazio Ambra,
Dimostri come sempre la tua grande gentilezza d'animo.
Non lo ritengo così scandaloso il racconto, non tanto da essere eliminato dal sito dove scriviamo,lieto che ti sia piaciuto, grazie della solidarietà.
Un caldo saluto e un abbraccio.

LdL ha detto...

Visto che "di là" l'hanno fatto sparire, ben felice di averlo ritrovato, ti ripropongo il mio commento.
Bel racconto. Pieno di amare riflessioni.
Sia nella prima parte, sia nella seconda.
Amare e condivisibili.
Non sento le voci, ma i luoghi testimoni di tragedie li visito con interesse.
E a volte ne parlo. Ricordare è un dovere.
I papaveri rossi ... gran bella citazione.
Grazie Tibet.

Tibet ha detto...

Grazie a te, del commento sempre gentile e della visita, gradite, ci vediamo di là!