Ho
sempre subito l'attrazione verso località dove sono accadute delle
tragedie, dove una moltitudine di persone hanno perso la vita,
insomma… nello specifico, dove si sono combattute delle battaglie
sanguinose.
Non
so se altri hanno la mia particolare sensibilità, forse è più
comune di quanto io creda, ma si... io sento la voce di chi è morto
violentemente, non che possa distinguere le parole vere e proprie in
quel loro confuso vociare comune ma sento le urla di dolore, le
imprecazioni e le richieste di aiuto e so cosa vorrebbero veramente,
raccontarsi, far sapere la loro storia e così vivere nel ricordo di
qualcuno.
Io?
Di questo dovrei scrivere, fare il salto di qualità, non solo sesso.
Forse
sono un sensitivo?
Che
abbia una specie di legame inspiegabile con il mondo dell'occulto?
Forse si o almeno qualcosa, ricordo le mie esperienze particolari con
i tarocchi.
Viaggiare,
pensare, riflettere… so che alla fine sono anche viaggi nel mio
interiore.
Io
visito questi posti, mi fermo e li sento.
Non
posso far nulla per loro, per chi mi rivolge queste richieste, alle
urla di rabbia, di dolore. Ma forse a loro... ai morti, basta essere
sentiti? Ricordati? Riportati per un momento a vivere i loro ultimi
istanti?
Questa
mia necessità mi aveva portato in posti molto diversi, nella foresta
di Teutoburgo, dove i legionari romani di Varo furono sterminati dai
Germani di Arminio, oppure sulle spiagge della Normandia o ancora a
Famagosta, a Cipro, per sentire le urla di Bragadin e dei Veneziani
scuoiati vivi dai turchi e così in altre decine di posti,
all'Ortigara sull'altipiano di Asiago, al Monte Nero sulle Alpi
carniche, sulla piana di Canne. Ma cosa mi spingeva a cercare e
vivere queste cose?
Diciamolo...
odiavo e odio la guerra, penso che morire in guerra è stupido, uno
spreco di risorse e potenzialità, convinto che se il mondo fosse
guidato da persone ragionevoli si arriverebbe presto a stabilire che
le guerre non risolvono i problemi, con meno falso orgoglio e
presunzione razziale, politica, di classe e con un minimo di
ragionevolezza si riuscirebbe sempre ad arrivare alla risoluzione
pacifica dei problemi.
Ma
si sa, l'uomo è un soggetto strano, appena è in grado e ne ha il
potere, vuol giocare con la vita dei suoi simili e portarli al
disastro e la storia non insegna nulla, si ripetono sempre le
medesime cose.
In
quella occasione particolare mi attirava un viaggio al nord della
Francia e in Belgio. Intendevo percorrere grosso modo il corso
discendente del Reno, visitare le fortificazioni della Linea Maginot
e arrivare nei luoghi scenario delle battaglie di Ypres e di Verdun.
Per inciso, la Linea Maginot, è un classico esempio di opera
militare gigantesca e fondamentalmente inutile, costruita fra le due
guerre, oggetto di una spesa enorme, di spreco di denaro pubblico e
di nessun valore difensivo dato che i nazisti passarono dal Belgio
beffandosi bellamente del possente baluardo di fortificazioni,
casematte, zone minate e di terre da inondare in caso di necessità.
Nessuna fortificazione, né il Vallo di Adriano, né quello
Atlantico, neppure la Grande Muraglia ha potuto contenere la temuta
invasione.
Devo
necessariamente riportare alcune notizie storiche prima di arrivare a
parlare di Hélène, la donna di Bruxelles.
Si
può dire che la zona di Ypres e Verdun è un vero cimitero con i
morti accatastati gli uni sugli altri che giacciono ancora appena
sotto la superficie del terreno.
Prima
battaglia di Ypres, 1914 e seconda, 1915: complessivamente 500.000
morti. Battaglia di Verdun, 1916: 700.000 morti.
Ypres
è anche ricordata per aver dato il nome all'iprite, il gas velenoso
al cloro usato dai tedeschi per la prima volta nella storia.
Di
solito durante questi viaggi volevo andare solo e senza un vero
programma se non quello di arrivare a destino. Mi fermavo a volte
preso da curiosità che nulla avevano da fare con l'intento del
viaggio, ripartivo.
In
quel periodo c'era Hélène.
Aveva
alcune particolarità che mi avevano incuriosito, intanto era una
autrice di racconti di un erotismo soft, proprio il mio contrario, ma
si sa che gli opposti si attirano. Avevamo un contatto puramente
epistolare o meglio... via web e non che fosse intenso, ma di certo
eravamo attratti da una cosa... ambedue eravamo strani. Ognuno dei
due con un tarlo nella mente che non era possibile tacitare.
Il
suo tarlo?
Il
suo patrigno, che dal momento che si era insediato nella casa di sua
madre aveva preso a punirla severamente per ogni sciocchezza,
sculacciandola crudelmente con assoluta quotidianità, fosse solo
questo, ma perché intuivo che c'erano cose che non voleva rivelare?
Perché quando parlavamo di sesso non accennava mai alla sua figa e
invece del culo ne parlava frequentemente?
Quando
mi disse una volta... “dovrai sodomizzami violentemente!”, cosa
aveva in mente? Richiamava un episodio del suo passato? Qualcosa che
aveva vissuto?
Insomma
pensavo che il patrigno l'avesse violentata e che questo avesse
scardinato la struttura della sua sessualità. Perché le sue foto, a
parte un paio del viso, erano dedicate solo al suo culo? Bello
peraltro, dava l'impressione della morbidezza ed era... largo.
Come
tutti aveva una personalità tipo Giano Bifronte, un lato rivolto
alla luce e un lato oscuro. Il suo lato oscuro? Quello di rivivere
nella mente quei momenti particolari, il ricordo delle sculacciate
feroci la portava a colpirsi da sola col battipanni o altro sul culo
fino ad averlo rosso e dolorante. Mi proponeva questo in effetti,
sculacciarla, il suo interesse primario era rivolto alle mie mani,
larghe e pesanti le voleva, ma prevedeva anche il violentarla forse?
Il suo trascorso, da come me lo aveva rivelato, mi aveva ispirato un
racconto, “Lo zio e Hélène”, un polpettone porno di sculacciate
e sesso che le era piaciuto, a me un po' meno.
Era
una donna di trent'anni, morbidamente curvy, belga di lingua francese
ma parlava benissimo italiano dato che si era laureata a Roma con un
lascito testamentario del suo padre naturale, avvocato, che voleva
ripetesse il suo percorso di studi alla Università Lateranense.
Comunque
per quanto la nostra conoscenza fosse di interesse puramente
sessuale, non mi attirava certo l'idea di andare a Bruxelles per una
scopata. Vero che in passato avevo fatto ben di più ma era comunque
un altro tipo di attrazione, molto più forte. Ricordo il mio
massimo... Malaga, ma di solito restavo aderente, per pigrizia, al
mio motto: “possibilmente scopare a km. 0” o almeno nel giro di
un paio di ore di macchina. Ma ero stanco di questo, perché questi
incontri mi lasciavano sempre più un senso di nausea. Un rigetto.
Potevo fare le recensioni degli alberghi vicino alla stazione
ferroviaria di molte città da Bologna in su.
Mi
sorprese un po' la sua proposta dopo che accennai al mio viaggio e
alla mia meta finale, Ypres in Belgio. Non le parlai del vero perché,
accennai ad un articolo per una rivista.
“Il
mio ragazzo è via per una settimana in quel periodo, vieni a
trovarmi? Puoi stare da me...”
Intendeva
a Bruxelles, città per la quale non avevo e non ho nessuna simpatia.
E intendeva più di un giorno? Non penso che esista donna che possa
sopportarmi per un periodo così lungo! Ho un mucchio di riserve
mentali sul dormire con donne che non conosco e sono così mal
abituato che spesso mi rompo le balle da solo.
Comunque
era fattibile, da Ypres a Bruxelles c'era un'ora di treno, potevo
lasciare la macchina la mattina, raggiungerla e a sera tornare. Ma
più di un giorno? Dormire da lei? Impossibile... solo a pensarci
avevo i brividi. Non sono uomo da due giorni, sono “da una scopata
e via”, sono o meglio ero, "un uomo a ore".
Dopo
aver visitato l'Abbazia di Huatvillers e le cantine nel tufo della
zona dello champagne arrivai a Verdun, al villaggio di
Fleury-devant-Douaumont che non è mai stato ricostruito, è tutt'ora
in rovina senza un abitante, un omaggio perpetuo al sacrificio di
quel tempo. Mi fermai lì vicino e dormii in macchina, mi aggirai per
due giorni nei luoghi della battaglia ascoltando le grida, le
proteste, le richieste di sapere se il loro sacrificio era valso a
migliorare il mondo e io cosa potevo rispondere?
Che
erano morti invano?
Mi
sarebbe piaciuto invece farmi raccontare le loro storie, il luogo da
dove provenivano, delle loro famiglie, le mogli, le fidanzate,
scriverne, ma il vociare era assordante ed era impossibile non
restare contagiati dalla loro immensa disperazione.
Pensai
quindi che mi era necessaria una pausa prima di andare a Ypres e che
dovevo far coincidere l'incontro con Hélène con la partenza del suo
compagno e andai per qualche giorno a Beauvais.
Beauvais,
ai miei occhi, è interessante per la sua cattedrale, dedicata a San
Pietro, iniziata nel milleduecento e mai davvero terminata, ha le
navate più alte di tutte le “fabbriche” gotiche, oltre i
quarantotto metri, ma non solo, al solito è un esempio della pazzia
umana, la sua costruzione aveva l'ambizione di diventare l'edificio
più alto del mondo! Quella era la febbre che spingeva la costruzione
di questi grandi edifici religiosi che comportavano sacrifici e
impegno anche per secoli e di migliaia di persone. Essere il più
alto edificio religioso, il più vicino a Dio! Il più meritevole
dell'interesse divino! Era quella la febbre ambiziosa delle varie
città medievali francesi.
Solo
che la fede non può sostituire le regole statiche e nonostante la
vigile attenzione divina, l'ambiziosa torre campanaria di tre piani e
una sottile guglia alta 153 metri, nel 1573... poco dopo terminata,
crollò rovinosamente danneggiando tutta la chiesa.
Follia
religiosa? Non meno pericolosa di quella bellica, caratteristiche che
spesso vanno drasticamente di concerto.
Non
sapevano la storia della Torre di Babele? Dio, già allora, non aveva
permesso che si arrivasse al cielo!
Ypres.
Lo
stesso, incessante insieme di voci.
Mi
sdraiai sull'erba fra i molti papaveri rossi e rilessi le parole di
John McCrae, lì morto nel 1918:
Nei
campi delle Fiandre, fra le croci
Che
in file ordinate il nostro posto
Segnano,
fioriscono i papaveri.
Nel
cielo, cantando, volano le allodole
-ci
vuole coraggio per farlo- e il loro canto
Si
perde a terra, fra il tuono delle armi.
Noi
siamo i morti che la guerra uccise.
Non
molti giorni fa eravamo vivi,
Sorgeva
l’alba e tramontava il sole,
Avevamo
chi amare e chi ci amava
e
ora giacciamo nei campi delle Fiandre.
Tocca
a voi combattere il nemico.
A
voi noi consegniamo con le mani stanche
questa
torcia perché alta la teniate.
Se
voi verrete meno alla promessa,
noi,
i morti che la guerra uccise,
non
avremo mai pace, anche se in fiore
nei
campi delle Fiandre, a centinaia
continueranno
a crescere i papaveri.
Il
vero nemico? E' l’assenza di ogni memoria storica.
Ero
in contatto con H. aspettavo il suo via.
Ora...
era chiaro che se non fossi già a Ypres non mi sarei mai sognato di
andare a Bruxelles a trovarla, non ero così interessato, non mi
eccitava, ma già che ero ad un'ora di treno?
Poi?
Sapevo quello che desiderava lei ma quale era il mio interesse?
Sculacciarla?
Per
quanto avesse un bel culone non mi pareva abbastanza, alle mie
reiterate richieste di conferma, che volevo di più, volevo far
sesso, rispondeva evasivamente. Sculacciarla? Tanto da farla
piangere? Era quello che mi chiedeva e non rientrava fra le mie
preferenze sessuali.
Insomma...
senza un vero entusiasmo presi il treno e ci incontrammo al mio
arrivo, era come da sua descrizione, non molto alta, gradevolmente
abbondante, specialmente di culo, largo.
Bevemmo
un caffè e notai una cosa, il suo sguardo era incatenato alle mie
mani, le guardava... le guardava e questo le dava una emozione
visibile, si leccava di continuo le labbra, avvicinava e distanziava
nervosamente le gambe fra loro. Era evidentemente eccitata e questo
mi coinvolse, ora avevo voglia di sculacciarlo quel suo grosso culo!
Una
rapida corsa in metro, due passi a piedi ed eravamo a casa sua, si
assentò brevemente e al ritorno era trasformata, evidentemente
pronta alla parte da interpretare.
Una
gonna grigia a pieghe, camicetta bianca chiusa fino al collo,
calzettoni, i capelli sistemati in due code da adolescente. Il mio
ruolo? Quello del castigatore feroce e a quello mi adattai. Alla fine
mettevo in pratica l'aspetto camaleontico del mio modo di far sesso.
La
ripresi duramente, dicendole quanto era stupida, una sciocca culona
senza cervello, che meritava la punizione che presto avrebbe
ricevuto.
La
tirai sulle mie ginocchia e scoprendole il grosso culo iniziai. Colpi
su colpi che arrossavano istantaneamente la carne delicata. Il rumore
forte dei colpi mi eccitava e mentre la colpivo andavo via via a
spogliarla, la camicetta, il reggiseno bianco e castigato come le
mutandine, la gonna. Restavano solo i calzettoni e le scarpe basse di
vernice nera. Oltre a colpirla senza sosta ora le palpavo violento le
tette, strizzavo i suoi capezzoli e li tiravo in fuori causandole
ulteriore dolore, ma questo desiderava, essere punita, essere
umiliata, soffrire e lo dimostrava la sua figa grondante, era tanto
bagnata che i suoi umori lasciavano traccia sul mio pantalone. Ora
erano le mie dita dentro di lei ad aumentare il flusso dei suoi
umori, evidente che godeva ma altrettanto evidente il fatto che fosse
la sculacciata feroce, le parole con le quali la offendevo, a darle
la maggior parte del piacere.
Presi
a minacciarla di rompere il suo grosso culo, avevo smesso di colpirlo
e ora lo accarezzavo, aprivo quelle grosse chiappe e toccavo il suo
buco scuro, le dicevo di come l'avrei scopata. Riempita di cazzo!
Rotta proprio! Lei si liberò e dal pavimento dove era ora in
ginocchio iniziò a pregarmi di non farlo, di non farle del male, era
in pieno coinvolgimento mentale, viveva il momento, riviveva quella
particolare violenza con il patrigno, era tornata la adolescente di
allora.
Momenti
di dubbio?
Su
quello che stavo facendo?
Si...
ci fu quasi un attimo di rifiuto, il disgusto verso me stesso, pronto
a ogni cosa pur di soddisfare la libidine. Ma poi… una
constatazione, il suo buco del culo era abbondantemente lubrificato
da abbondante gel, pronto per essere abusato.
Tutto
era previsto, tutto era programmato.
Non
ero il primo, non sarei stato l'ultimo.
Questo
mi tolse ogni scrupolo, affondai nel suo culo… incurante delle sue
urla, del suo pianto, convinto che fosse questo che voleva, rivivere
la violenza originale.
Che
godesse ne ero certo.
I
singulti che interrompevano le crisi di pianto, lo spingere del suo
culo verso il cazzo come per farsi penetrare di più.
Infine
il mio orgasmo, sborrai dentro di lei.
Subito
dopo?
La
domanda se ne era valsa la pena.
Naturalmente
la risposta era negativa, no… scopare così non porta da nessuna
parte, aumenta la propria disistima, il proprio scontento,
contribuisce al mal di vivere.
Non
so lei, sembrava soddisfatta.
Conoscevo
quella sensazione, il bisogno, il cedere poi il senso di liberazione
e la clessidra ricomincia a svuotarsi nella parte sottostante, la
riempie e si torna in ballo.
Ora
era tranquilla.
Avevo
fretta di andarmene e lei di lasciarmi andare.
Perché,
mi chiedevo in treno, mi rendo disponibile a questo?
Tutto
per diminuire ancora di più la poca stima di me stesso?
O…
era colpa del mio peccato originale?
A
Ypres ripresi la macchina e andai a distendermi fra i papaveri. Mi
addormentai sull'erba.
Era
ora di tornare a casa. Il viaggio era finito.
Il
paradosso della memoria:
I
morti vorrebbero essere ricordati, i vivi vorrebbero dimenticare.
È
la vita.
Tibet.
4 commenti:
I tuoi sono racconti di vita, Tibet... Questo è diverso dal solito: il sesso è sullo sfondo mentre l'introspezione è centrale. E' a tratti angosciante, sia per il rapporto con Hélène, che per il resto, si sente la disperazione.
L'assenza di memoria storica è pericolosa...Bella la poesia di McCrae.
Un racconto speciale. Fa riflettere.
Ti ringrazio Ambra,
Dimostri come sempre la tua grande gentilezza d'animo.
Non lo ritengo così scandaloso il racconto, non tanto da essere eliminato dal sito dove scriviamo,lieto che ti sia piaciuto, grazie della solidarietà.
Un caldo saluto e un abbraccio.
Visto che "di là" l'hanno fatto sparire, ben felice di averlo ritrovato, ti ripropongo il mio commento.
Bel racconto. Pieno di amare riflessioni.
Sia nella prima parte, sia nella seconda.
Amare e condivisibili.
Non sento le voci, ma i luoghi testimoni di tragedie li visito con interesse.
E a volte ne parlo. Ricordare è un dovere.
I papaveri rossi ... gran bella citazione.
Grazie Tibet.
Grazie a te, del commento sempre gentile e della visita, gradite, ci vediamo di là!
Posta un commento