venerdì 8 novembre 2019

Hokusai, il sogno erotico della moglie del marinaio


Sogno della moglie del marinaio, pittura su legno di Hokusai (1820).

(Bloggato da STILE ARTE.IT)


Una giovane donna, avvenente. Un polpo gigantesco che la avvinghia con i tentacoli e che, con la bocca, le succhia avidamente il pube, mentre si guarda attorno con occhi assatanati. Un polipo più piccolo, all’altezza della bocca della giovane signora, la bacia ardentemente. E’ un menage a trois, quello descritto dal grande pittore giapponese in questo Shunga intitolato Sogno della moglie del marinaio e dipinto su una tavoletta nel 1820. Attorno alle figure, come in un fumetto, corrono i dialoghi. Eccoli

Polpo grande –  Sono stato nascosto ad aspettare per così tanto tempo, ma alla fine ho ottenuto quello che volevo. Che splendida figa! Non c’è niente di più delizioso… Slap slap slap  succhiare succhiare succhiare a lungo…E alla fine ce l’ho fatta! Che magnifica figa! Non può esserci nulla di più delizioso! Zu zu … succhiare succhiare succhiare … (…).  Donna: Chiavami polpo! Ah, sali e prendi il mio collo dell’utero… Non riesco a respirare! Oh, mi fai venire… le tue ventose … oh, le tue  ventose … mi-dio, quello che stai facendo con quelle ventose! Oh sì, oh sì … Non sono mai stata così … aaah aaah … da polpi … Mmmm … bene bene … sì … ci … sì, sì, sì … Polpo grande: Dimmi come ci si sente ad essere presa da otto braccia. Vedi… sei così eccitata…  completamente bagnata. Donna: Oh mi sento accarezzata dappertutto, solletico e brividi … e sto perdendo ogni controllo. Sto perdendo il controllo! Sto venendo! Ah ah … Piccolo polipo:  Quando finisce papà inizio io ad accarezzare e a succhiare il clitoride, usando le ventose.


Gli shunga, genere a cui appartiene Il sogno della moglie del marinaio sono stampe erotiche giapponesi, sullo stile ukiyo-e, che ebbero sviluppo nel periodo Edo, tra il 1600 e il 1820. Il termine Shunga vuol dire pittura della primavera; non tanto – o non solo – l’accenno è alla bella stagione che moltiplica, in natura e tra gli uomini, l’attività erotica,  ma la radice storica originaria porta a chungonghua o shunkyūga  cioè alle “immagini del palazzo di primavera”. Queste illustrazioni – alle quali tanto avrebbero dovuto i nostri fumetti – sarebbero inizialmente circolate o avrebbero tratto ispirazione dai materiali pornografi presenti nel palazzo del Kōtaishi, il principe ereditario. I personaggi più frequenti di questi lavori grafici erano le gheishe e, in particolar modo, le prostitute dei quartieri di piacere delle grandi città giapponesi. La loro abilità nell’accogliere gli uomini e nel giacere con loro era tale che avevano un’assoluta notorietà da eroine, al punto che da essere conosciute come esempi. Spazio negli shunga trovavano anche gli attori dell’epoca, i kabuki, alcuni dei quali, oltre a svolgere azioni teatrali, all’interno delle quali interpretavano ruoli femminili, praticavano la prostituzione maschile.
Gli shunga erano destinati a uomini e donne di tutte le classi sociali; per queste ultime, in molti casi, erano fonte di educazione o di aggiornamento su tecniche sessuali. Queste stampe, che creavano l’atmosfera adatta alla masturbazione, erano anche considerate fonte di virtù perchè, in assenza del compagno, portavano la donna a bastare a se stessa. Utilizzatrice degli shunga potevano essere le mogli dei daimyō, lasciate sole dai mariti per lungo tempo a causa dei loro obbligati soggiorni presso la dimora dello shōgun, e uomini che non potevano frequentare i quartieri di piacere delle grandi città. Questo utilizzo si può dedurre dalla grande quantità di immagini di autoerotismo, sia maschile che femminile, presenti negli shunga.
Queste opere grafiche  erano tra l’altro anche considerate amuleti contro la sfortuna e le disgrazie come gli incendi. Sembra che i militari portassero indosso degli shunga durante le battaglie perché si credeva che potessero evitare di essere colpiti dal nemico

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