Sono un uomo.
Un lavoratore.
Anche un padre, si.
Non sono un marito, non più.
Quando conobbi Laura, la madre di mia figlia Silvia, fu amore a
prima vista. Mi accorsi subito di quanto fosse indisponente ad ogni
forma di limitazione o legame ma credevo che l’amore avrebbe
placato il suo spirito libero.
Così non fu.
Con un bigliettino liquidò me e Silvia e corse all’estero, in
Africa, a riprendere il suo lavoro come reporter.
Pochi mesi dopo era già pronto l’atto di separazione
consensuale, io non mi opposi.
Perché farlo? Perché lottare?
Lei non lo voleva, lei non ci voleva.
O almeno ci voleva a rate.
Silvia l’ho tirata su io. Quando Laura andò via lei era una
bambina di soli 2 anni. L’ho allevata, l’ho cresciuta, l’ho
accudita.
Ho passato tutti gli anni dalla sua nascita ad oggi a provvedere a
lei sperando di colmare le mancanze di sua madre. Anche lei l’ha
compresa e, in effetti, Laura non è mai stata poi così lontana da
noi. Solo si era accorta che la vita matrimoniale non le si confaceva
ma ha sempre rispettato alla meglio i patti sull’affidamento.
Ogni 3 mesi, quando torna da un viaggio di lavoro, chiama Silvia e
si fa raggiungere nel suo appartamento. Le porta spezie, abiti,
oggetti dei vari posti in cui è stata, le racconta storie. Silvia si
ferma da lei per vari giorni e poi torna a casa prima che la madre
riparta.
In sostanza è un equilibrio di cui non ci si può lamentare.
Ma Silvia, la mia bambina, l’ho cresciuta io.
C’ero io quando aveva la febbre, io quando litigava con i
compagni di classe e tornava piangente, sempre io quando
l’interrogazione non andava bene e aveva bisogno di una mano.
C’ero io. Per la mia bambina c’ero io.
La mia bambina è donna, ormai.
“E intanto il tempo se ne va
e non ti senti piu' bambina
si cresce in fretta alla tua età non me ne sono accorto prima”
Da un po’ di anni la sua fisionomia è cambiata e mi fermo ad
osservarla appena posso. Ogni mattina la osservo voltata di spalle
verso la cucina, riscalda il latte e prepara il caffè prima di
uscire io per lavoro e lei per la scuola.
Le sue linee morbide si fanno sempre più sottili, i suoi seni più
pronunciati e gli atteggiamenti maliziosi… ogni giorno ne scorgo
uno diverso.
E poi esce.
Non si possono chiudere i figli in casa e la sera esce. Marta,
Giulia, Simona… Antonio? Chi è Antonio?
Amici, compagni di classe… ok, va bene.
E la sera aspetto lei, aspetto che torni.
Lo so, sono apprensivo. Ma dopo aver dedicato una vita solo alla
propria figlia?
Dopo che questa è diventata l’unica compagnia, l’unico scopo,
l’unica ragione?
Evito troppe domande, è più tranquilla rispetto a Laura ma, come
sua madre, desidera la sua indipendenza e ad ogni minima intrusione
scatta e mi esclude. Ma so che se ha bisogno, se ha voglia di
raccontare lo fa di sua spontanea volontà. E poi non mi ha mai dato
modo di preoccuparmi. Non più di quanto ce ne si debba preoccupare
per un comune adolescente.
“la porta chiusa male e tu
lo specchio, il trucco e il seno in su e tra poco la sera uscirai
quelle sere non dormirò mai”
Da un po’ di giorni è in subbuglio.
Le sue telefonate sono aumentate. Si trucca di più, si fa carina
ed esce più spesso.
Per mia sfortuna non mi è dato sapere ma lo intuisco… è per un
ragazzo. Corre fremente, si dilegua in fretta tutta sorridente, mi
bacia la guancia e scappa via.
Ciao papà.
Ciao bambina.
Tutto questo di sera.
Magari mi sbaglio, penso. Semplicemente avrà più fretta del
solito e poi si fa più carina perché è cresciuta, perché lo fanno
le sue amiche, perché le ragazze seguono la moda, gli idoli, le
modelle.
Non credo neanche io molto a ciò che penso ma auto-convincermi
che sia così mi aiuta a stemprare l’apprensione che ho e a
lasciarla vivere senza diventare il padre oppressivo che non
vorrebbe.
Lavoro in uno studio commerciale, ne sono socio; i miei orari sono
legati alla mole di lavoro, ai clienti, alla riunioni sulle linee
organizzative e sulle strategie da adottare.
Mi rendo conto di aver lasciato Silvia sempre più sola col
passare degli anni, è normale che sia affezionata alle sue amicizie,
sono la sua seconda famiglia.
Un pensiero in più per risollevarmi.
Ma sono un uomo oltre che un padre.
Posso fallire.
E’ mercoledì e devo raggiungere un nuovo cliente alle 16 e 30.
Il cliente è un uomo danaroso, conta di aprire una filiale della sua
attività in zona e io ed un mio collega dobbiamo occuparci di tutto.
Nel mio studio già si esulta… si preparano tutti a veder arrivare
una valanga di soldi. Lo spumante è pronto nel minifreezer: appena
il cliente deciderà di accettare il nostro piano cureremo
ufficialmente i suoi interessi con tutti i vantaggi economici e di
prestigio che ne conseguono.
Sono le 14 e sfoglio il progetto, preparo il mio discorso, imposto
il giusto tono di voce per risultare rassicurante e al contempo
deciso.
Una parte dei preventivi che ho preparato, però, non sono in
ufficio.
Ed ecco arrivare il flash improvviso: sono sulla scrivania nello
studio, posati lì per l’ultimo controllo prima di sottoporli al
cliente.
Telefono Silvia per chiederle di portarmeli.
La chiamo più volte al cellulare e al telefono fisso ma non mi
risponde.
Il tempo passa e il mio collega preme. Mi propone di tornare a
casa a prendere il fascicolo, si offre di avviarsi senza me in caso
di ritardo e di coprirmi in mia assenza.
Spinto dalle sue rassicurazioni salto in auto e mi butto nel
traffico. Tempo 20 minuti sono a casa.
“Farsi donne è più che normale
ma una figlia è una cosa speciale il ragazzo magari ce l'hai
qualche volta hai già pianto per lui”
Il motorino di Silvia è parcheggiato davanti al cancello di casa
e lei non ne esce mai senza. Vicino al suo motorino uno scooter più
grosso… non so di chi sia ma dal casco molto sportivo suppongo sia
di un ragazzo.
Non voglio dimostrarmi invadente e decido di entrare in punta di
piedi e di uscirne altrettanto silenziosamente.
Apro piano la porta, ruoto lentamente la chiave nella toppa e
smorzo lo scatto della serratura.
Attraverso l’uscio e mi dirigo verso lo studio. Tutto
tranquillo, nessun rumore.
Trovo il fascicolo sulla scrivania così come ricordavo e lo metto
nella 24 ore. Poi un rumore dal piano di sopra. Un piccolo tonfo. Mi
approssimo alle scale e sento venire dalle stanze al piano superiore
dei lamenti.
Vai via.
No, sali.
Vai via, arriverai in ritardo. Non è certamente nulla di cui
preoccuparsi… saranno rumori di un film in tv.
Salgo le scale e mi avvicino alla porta socchiusa di camera sua.
Non dovrei ma lo faccio.
Sbircio dentro.
Lei è nuda.
Silvia è nuda sul letto, distesa. Un ragazzo è tra le sue gambe
e la scopa.
Quel ragazzo sta scopando mia figlia.
Dovrei urlare, inveire… dovrei… dovrei… non so come
comportarmi!
E mentre rifletto sul da farsi la osservo godere. Percorro ogni
linea del suo corpo nudo insieme alle mani del ragazzo. Sento il
cazzo inturgidirsi nei pantaloni e la voglia crescere.
Sono combattuto. Vorrei andare via ma non ne ho la forza.
Poso a terra la 24 ore e mi fermo ad osservarli. Lui è su di lei,
la scopa lentamente, con una mano le massaggia il clitoride, con il
pollice lo spinge ripetutamente verso l’alto mentre al contempo
segue il ritmo con le anche.
Silvia geme, gli chiede di scoparla di più, più forte.
Lui si cala su di lei e incalza nei movimenti. I flebili gemiti si
trasformano in incitazioni e urla, il mio cazzo esplode nei
pantaloni, prendo a massaggiarlo su tessuto.
Viene più volte, gode e lo urla al ragazzo. Lui la volta e la
scopa a pecora. Glielo mette da dietro e inizia a pompare. Con una
mano le tira indietro i capelli e con l’altra le afferra il fianco.
Sento i loro corpi sbattere, le palle che fanno rumore
vistosamente e lui che le dice che è puttana… la fotte
intensamente mentre lei grida.
Non resisto nel guardarli e mi tiro fuori il cazzo. Me lo meno.
Guardo Silvia e la desidero, desidero infilarmi nella sua bollente
fessura e strizzarle i seni acerbi.
Mi masturbo con maggior foga, mi mordo le labbra per trattenere i
singulti, e seguo il ritmo del ragazzo nello scoparla. Osservo il suo
cazzo lucido di umori fuoriuscire, colgo con il naso l’odore della
figa di mia figlia che fuoriesce sempre più intenso dalla stanza
ormai impregnata.
Chiudo gli occhi e mi immagino lei, le sue grida di piacere non
sono più procurate da quel ragazzo ma da me. Li strizzo forte,
contravvengo ad ogni principio paterno desiderando anche di
incularla, dimentico ogni morale mentre le mie orecchie si riempiono
dei suoi gridolini di piacere.
Viene più volte… e lo dice “Godo… godo… godooo!!!”.
E vengo anche io.
Vengo nelle mani. Trattengo a fatica l’impressionante quantità
di sperma che cola.
Mi trascino in bagno e mi asciugo con un po’ di salviettine.
Poi… poi spengo le orecchie e il cervello, fingo che nulla stia
accadendo e passo silenziosamente davanti alla stanza di Silvia
mentre lei geme ancora. Fingo di non ascoltarla e raccolgo la 24 ore,
torno giù, esco furtivamente così come sono arrivato.
Al colloquio con il cliente sono arrivato in ritardo ma per
fortuna è andato bene.
Ma ad oggi la mia vita è un tormento.
Vedo Silvia aggirarsi per casa e non la sento più come la mia
bambina.
E’ una donna e la desidero.
Ho sempre voglia di scoparla.
Ogni suo gesto o parola mi causa un’erezione.
Ogni giorno lo passo a trattenere la voglia di possederla, tutte
le notti mi masturbo pensando a lei.
Lo so… lo so che è riprovevole… ma sono un semplice uomo…
anche io posso fallire.
“E intanto il tempo se ne va e non ti senti più bambina, si
cresce in fretta alla tua età non me ne sono accorto prima. E
intanto il tempo se ne va tra i sogni e le preoccupazioni, le calze a
rete han preso già il posto dei calzettoni.
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