Sedurre Federico
Mia nonna aveva affittato una casa davvero carina al mare, una di
quelle che dà direttamente sulla spiaggia, frutto delle costruzioni
abusive perpetrate alla fine degli anni 80 sulla costa garganica.
Il mare azzurrissimo era a meno di 400 metri dal portico sul retro
dell’abitazione e l’idea di poterci restare un po’ di giorni
era davvero allettante così quando mia nonna chiese ai nipoti, tra
cui me, chi volesse farle un po’ di compagnia, io mi offrii
volentieri.
Arrivata il lunedì decisi di trattenermi fino al venerdì, prima
dell’inizio del week end.
Con me si sarebbero trattenuti alcuni miei cugini, bei ragazzi
ormai, Federico e Matteo. Il primo 18enne e il secondo 13enne. Li
ricordavo bambini e ormai erano quasi uomini, più alti di me seppur
io fossi più grande di Federico di sette anni.
Rivederli dopo molto tempo mi fece davvero piacere poiché si
erano trasferiti a 500 km di distanza e i rapporti si facevano sempre
più saltuari e legati alle sole vacanze estive.
Federico in particolare era diventato bellissimo, alto e moro,
occhi scuri e corporatura grossa, muscolosa direi. Rispetto a due
anni prima aveva avuto un significativo cambiamento e molti dei
segnali della adolescenza erano svaniti come la voce altalenante tra
il baritono e il tono infantile e i soliti brufoli, piaga di ogni
adolescente.
La casa non era enorme, due camere da letto e una cucina
completata da un piccolo bagno. La nonna mi chiese di dormire nel
letto matrimoniale con lei lasciando ai miei cugini l’altra stanza
in cui c’erano due lettini singoli.
Dopo l’intensa mattinata passata a sistemarci, passai il dopo
pranzo da sola. La nonna era a passeggio con alcune sue abituali
compagnie, compaesani che affittavano la dimora estiva nella stessa
zona, e i miei cugini erano corsi a giocare a pallone in un campetto
distante da casa.
Non che mi turbasse restare sola, anzi, ne fui estremamente
contenta.
Il tratto di spiaggia davanti a me e le onde che si infrangevano
sulla battigia agirono come un potente richiamo così rientrai in
casa con pantaloncini e top e ne uscii con il costume due pezzi che
avevo comprato giorni prima.
Titubante sulla sabbia bollente del primo pomeriggio e pallida
come la luna, mi avvicinai all’acqua e attesi l’onda affinchè
venisse a bagnarmi. Il suo scrosciare contro la mia pelle mi provocò
istantaneamente dei brividi di freddo ma mi ci volle poco per
adeguarmi alla temperatura dell’acqua così, passo dopo passo mi
ritrovai immersa prima fino alle ginocchia, poi fino alla vita e
infine dentro fino al collo.
Mi lasciai trasportare dalle onde ad occhi socchiusi appoggiata al
mio galleggiante rosso. Sollevai i piedi dal fondo sabbioso e iniziai
a rilassarmi curandomi di tanto in tanto di accertarmi di rimanere
dove ancora potessi toccare.
Caddi in uno stato di trance cullata dalle onde e la brezza marina
mi solleticava le narici impregnandomi dell’odore del mare. Quando
riaprii gli occhi mi resi conto del sole a metà cielo prossimo al
tramonto. Con la pelle del tutto arricciata dall’acqua salata,
terminai il mio bagno e mi diressi verso il terrazzo di casa per
avvolgermi in uno degli asciugamani.
Davanti a quello splendido sole rosso che affondava oltre
l’orizzonte iniziai a sfilare il reggiseno del costume calando di
poco l’asciugamano che avevo addosso, e lo appesi sulla corda del
terrazzo per lasciarlo asciugare. Presi una delle mollette da bucato
e la strinsi sui lacci del triangolo bagnato mentre alle mie spalle
sentii un improvviso fruscio.
Mi voltai di scatto e l’asciugamano scivolò a terra davanti a
Federico. Mi coprii i seni alla ben meglio con le mani mentre lui si
avvicinava. Con poco imbarazzo mi aiutò a sistemarmi continuando a
fissarmi seppur di nuovo coperta. Lo ringraziai mentre dietro lui
rientrava Matteo col pallone sotto braccio e la fronte gocciolante di
sudore.
Quella sera cenammo sulla terrazza vista-mare lasciandoci
letteralmente divorare dalle zanzare e rientrammo a dormire dopo ore
di chiacchiere e ricordi di infanzia. Crollai a letto con tutta
l’intenzione di dimenticare l’imbarazzante vicenda perché di
imbarazzo si trattava, imbarazzo per essermi lasciata cadere
l’asciugamano alla sprovvista.
Mi svegliai in piena notte con il ronzio dei fastidiosi insetti
nelle orecchie e decisi di alzarmi a sciacquarmi il volto e bere un
bicchiere d’acqua. Attraversato il piccolo corridoio che collegava
le stanze alla cucina mi resi
conto di non essere l’unica sonnambula. Davanti al frigo c’era
Federico con in mano una bottiglia di the fresco.
“Ne vuoi?” mi chiese.
“Ok, versamene un bicchiere”.
Fianco a fianco davanti al tavolo della cucina, buttammo giù la
bevanda in un sol sorso.
“Eri bella oggi…” disse.
“Cosa?”.
“Eri bella oggi… sai… quando ti cadde l’asciugamano… eri
quasi nuda…” nelle sue parole notai un velo di timidezza mista ad
eccitazione. Si era eccitato guardandomi. La figuraccia si era
improvvisamente trasformata in un’arma di seduzione nel mio
immaginario.
“Si è visto tutto, eh? Intendo… le tette… “ aggiunsi.
“Si” rispose deglutendo.
“E… ti sono piaciute?” cosa cavolo gli stavo chiedendo? Non
era il mio cervello a parlare ma la mia figa che partiva all’attacco…
taci cervello… è notte… domani potrai dirgli che non è vero ciò
che gli hai detto, che se l’è sognato.
“Sono belle, si… se potessi… mi piacerebbe rivederle”
parlavamo l’uno a fianco all’altro senza guardarci negli occhi.
“Se vuoi te le faccio vedere di nuovo… anzi, te le faccio
fotografare così puoi vederle quando ti pare…” dissi seriamente.
Mi voltai verso lui e lui verso me.
Scoppiammo in una sonora risata e senza dirci più nulla tornammo
a dormire nei rispettivi letti.
Il mattino seguente uscii presto, decisa a prendere la tintarella
mattutina e a trasformare il colore cadaverico della mia pelle in
oro. Presi gli occhiali da sole e il mio fedele mp3 e mi distesi
sulla spiaggia.
Scrutando attraverso gli occhiali scuri notavo gli sguardi che
Federico spesso mi rivolgeva. Si soffermava ad osservarmi lungamente,
soprattutto nei momenti in cui credeva io dormissi.
Appena arrivata ora di pranzo la nonna ci invitò a rientrare.
Chiese ai due ragazzi di aiutarla a fare un po’ di spesa poiché,
in effetti, il frigo si era rapidamente svuotato e Matteo accettò
dietro promessa di vedersi soddisfatto dalla nonna con una vaschetta
di gelato tutta per lui. Federico si offrì per la volta successiva
evitando così un lungo e noioso pomeriggio in coda ad una cassa.
Lavai i piatti e sistemai la cucina dopo che la nonna e Matteo
furono usciti e mi diressi in camera per riposare. Passai davanti
alla porta della camera dei ragazzi e sentii alcuni rumori. Guardai
attraverso la porta socchiusa ed era Federico che, seduto sul letto,
studiava la sua macchinetta fotografica.
“Posso entrare?” chiesi affacciandomi di poco.
“Certo” rispose e mi sedetti vicino a lui sul letto.
“Cosa fai?” gli chiesi.
“Controllo alcune funzioni della macchinetta” disse e, diretto
l’obiettivo verso me, mi scattò una foto a tradimento.
“Dai… che scemo! Ora sarò orribile in foto! Se me lo avessi
detto mi sarei messa in posa!” esclamai.
“E che genere di posa, scusa?” osservò Federico.
“Tipo… tipo così!” sollevai i capelli con una mano, poggiai
l’altra su un fianco e sfoderai il sorriso più seducente e
smagliante che potessi avere.
“Mmm… non mi sembra un’idea malvagia…” Federico si alzò
dal letto e fotografò me che ero ancora seduta in quella posa
davvero assurda.
“Cambia posa, dai, che te ne scatto altre”.
Al suo comando mi sedetti sul letto a gambe incrociate e imitai
Buddha, con espressione riflessiva ma al contempo buffa. Poi cambiai
ancora… gambe a lato, semidistesa, con un gomito sul cuscino ad
imitare Paolina Bonaparte. Infine braccia protese ad abbracciare la
testata del letto e seni prominenti in avanti in richiamo alla Psiche
di Canova.
Nel muovermi il vestitino di cotone risaliva scoprendomi le cosce.
Federico sembrava non farci caso. Scattava e rideva con me. Mi
fissava tra il compiaciuto, lo stupito e il divertito.
In ogni posa le battute ironiche si susseguivano finché i miei
atteggiamenti non si fecero più sfacciati.
Vuoi l’atmosfera creatasi, vuoi la confidenza accentuata dal
gioco, la mia libido era salita a livelli di guardia.
Mi distesi e gli chiesi di scattare in una posa in cui fingevo di
dormire.
Il bordino del vestito era sollevato a metà culo lasciando del
tutto scoperte le gambe e la rotondità delle mie natiche. Appoggiai
la testa sul cuscino disponendo alla meglio i capelli e, con un
movimento del braccio, tenni i seni più schiacciati in modo da
sembrare prominenti attraverso la scollatura del sottile abito.
Chiusi gli occhi e gli chiesi di scattare.
Sentii i vari click del tasto della macchinetta. In stanza nessun
rumore. I click si diffondevano con intensità diversa, a seconda
dell’angolatura da cui mi fotografava.
L’ultima foto fu vicinissimo a me… il volto, il collo e i
seni.
Aprii gli occhi e mi alzai.
“Fatto?” chiesi.
“Uh uh!” rispose accompagnando l’assenso con un cenno della
testa.
“Non è che mi hai fotografato solo le tette???” lo canzonai
sorridente. Volevo imbarazzarlo ma soprattutto fremevo dalla voglia
di sapere cosa aveva lasciato in lui la proposta dell’altra notte.
Lui calò lo sguardo serio sulla macchinetta e, con fare da duro,
disse “Dai… che lo so come è fatto un paio di tette.”
Al che rimasi un po’ delusa quindi mi distesi di nuovo e gli
dissi che era un vero peccato perché se avesse voluto gliele avrei
fatte fotografare davvero.
Alzò la macchinetta verso me e con tono di sfida disse “Allora
va bene, io sono pronto a fotografare… vediamo se tu me lo fai
fare!”.
A quel punto ero in preda alla massima eccitazione… tolsi del
tutto l’abito e rimasi in intimo. Rincarai la dose chiedendogli di
aiutarmi ad aprire il reggiseno e fu allora che lo sentii eccitato.
Le sue dita sbottonavano i gancetti rivelando un lieve tremolio.
Si allontanò mentre reggevo le coppe con le mani in modo che
rimanessero ancora a coprirmi.
Iniziò a scattare mentre le spalline calavano del tutto e io
scoprivo sempre più lembi di pelle.
Quando il mio seno fu del tutto esposto alla sua vista notai
l’erezione nei suoi pantaloncini. Iniziai a valutare in modo
approssimativo le dimensioni del suo cazzo e a chiedermi come avrebbe
potuto essere… diritto o ricurvo, quale lunghezza, quale spessore.
Intanto Federico scattava sempre più da vicino soffermandosi
davanti a entrambi i miei seni o inquadrandone solo uno per volta.
“Ne hai mai toccato uno?” chiesi.
“Quello di una mia compagna di scuola ma solo sulla maglietta”
rispose.
Mi alzai dal letto e mi avvicinai in punta di piedi. Gli presi una
mano e la portai su un mio capezzolo.
“Lo senti com’è morbido?” chiesi.
Rispose di si. L’aureola era soffice ma il capezzolo era ormai
ritto, puntuto, eretto dall’eccitazione.
“Schiaccialo tra le dita, tiralo un po’… dai… ” e lo
fece all’istante, quasi bruscamente.
Iniziai a sospirare scossa da piccoli brividi e fu allora che si
rese conto del piacere che mi donava. Si abbassò e iniziò a
leccarmi piano, delicatamente. Poi si attaccò del tutto al mio seno
e succhiò sempre più forte come fosse una ventosa, tastando l’altro
con veemenza.
“Lo sai che mi ecciti così, si?” gli chiesi.
Non rispose a parole, sollevò solo lo sguardo e annuì.
Gli tolsi la mano dall’altro seno e me la portati tra le gambe,
tra le labbra ormai gonfie e umide. “Strofina… strofina di più,
dai… “ imposi alla sua mano il mio ritmo e lo lasciai fare.
Non restai inerme… finalmente avrei potuto togliermi lo sfizio
di sapere che cazzo avesse. Passai la mano sulla patta dei
pantaloncini e sentii la sua carne dura. Con delicatezza la infilai
oltre l’elastico e mi intrufolai negli slip senza incontrare
resistenze. Al tatto era duro e caldissimo, la cappella liscia e
fremente. Glielo tirai fuori e mi scostai dalla sua bocca, mi
abbassai davanti al suo cazzo per guardarlo meglio.
Era bellissimo, poco ricurvo, tendente a sinistra. Una cappella
rosea che diventava sempre più violacea per l’eccesso di
eccitazione. Avvicinai il naso e lo annusai tutto, mi impregnai di
quell’odore di sesso, di pelle intima e maschile. Spostai la pelle
del prepuzio a coprire la cappella e la rilasciai guardandola
ridiscendere.
Allungai la lingua per assaggiarlo. La mia saliva fresca a
contatto con la sua carne calda lo fece sussultare.
Iniziai a succhiarlo. Passai la lingua lungo il glande e l’asta
venata mentre lo reggevo con la mano e dopo un po’ lo feci
scivolare tra le mie labbra. La lingua lo accarezzava umida mentre lo
tenevo al fresco nella mia bocca. La sua mano sulla testa mi incitò
a cominciare a spompinarlo. Mi spinse su di lui, su e giù, più
volte,
con movimenti sempre più veloci e intensi. Il suo respiro
assecondava i miei gesti, ora veloce, ora lento a seconda del mio
muovermi. Lo risucchiai più che potessi e iniziai a segarlo con le
mani per la restante parte fuori dalla mia bocca. Con l’altra mano
gli toccavo le palle, grosse e dure come noci.
Quasi al culmine del piacere lo mollai e scesi con la lingua lungo
l’asta fino a prendere in bocca una delle palle. La tenni in bocca,
succhiandola e rilasciandola alternativamente mentre con le mani lo
segavo. Tentai poi di prendere entrambe le palle, due coglioni grossi
e duri, pronti ad esplodere.
Ancora una volta continuai a tormentarlo portandolo vicinissimo al
godimento senza farlo venire mai.
Con gli occhi mi pregò di farlo venire. Nel suo sguardo perso
nell’eccitazione leggevo una voglia di godere forte e prepotente.
Lo ripresi in bocca guardandolo negli occhi, mordicchiando il
glande e facendo scorrere i denti lungo l’asta, strisciandoli sopra
mentre affioravano i brividi sulla sua pelle. La sua voglia fece il
resto… mi spinse più forte sul suo cazzo dirigendo i miei
movimenti finché non sentii un fiotto di sperma scendermi in gola.
Mi scansai da lui in tutta fretta per la sensazione di
soffocamento. Ansimante mi rialzai e mi pulii il rivolo bianco sul
labbro.
“Devi ricambiare… “ accennai e in pochi istanti mi ritrovai
distesa sul letto e la sua bocca incollata alla mia figa.
Non era bravissimo ma la volontà e la voglia di imparare non gli
mancavano di certo. Iniziò ad esplorarmi e a leccare ogni angolo del
mio sesso come fosse affamato di figa. Studiò ogni mio ansimare e
fece attenzione a dove io lo dirigessi.
Con un dito mi penetrò… mi vide larga… mi chiese dei miei
altri uomini, disse che con una figa così non potevo non averne
avuti parecchi.
Mi limitai a non rispondere ma a indirizzarlo verso il mio
piacere.
Le sue dita cominciarono a scoparmi rudemente mentre la sua lingua
aveva trovato piacere nel torturare il mio clitoride smuovendolo
furiosamente. I miei gemiti si fecero sempre più forti e i miei
versi indecenti riempivano la stanza. Incitato dal mio evidente
godimento, continuò come meglio potè, smuovendo il clitoride ora
circolarmente, ora da verso a verso, in movimenti bruschi e privi di
ogni delicatezza. In quella piccola appendice di carne confluirono
tutte le sensazioni che si liberarono in un forte orgasmo. Con le
dita ancora in figa, sentii il mio corpo vibrare, la carne tremare,
le mie gambe cedere e si fermò.
“Sei… sei venuta?” chiese perplesso.
“Si, si Federico” risposi con poco fiato.
Notai il suo cazzo di nuovo duro e pronto… farmi godere lo aveva
eccitato enormemente e io non ero ancora sazia di piacere. Lo
capovolsi sul letto e lo scavalcai. A gambe larghe su di lui
cominciai a strisciarmi su quella portentosa asta, dura come e più
di prima.
“Scopami Federico… dai, scopami…” gli sussurrai
all’orecchio.
Con il volto ancora vicino al suo viso, lo sentii posarmi le mani
sul culo e abbassarmi verso di lui. Prese il cazzo e lo diresse verso
la mia fessura, poi mi abbassai di più per accoglierlo dentro me.
Iniziai a scoparlo io, lo feci piano, salendo e riscendendo,
strisciando su ogni centimetro di quell’asta venata ma il mio ritmo
non gli bastava ed era evidente la sua apprensione. Mi cercava
convulsamente, incerto se dirigere il gioco o lasciarmi fare. Non gli
venni incontro, non lo scopai come avrebbe voluto. Continuai a
tormentarlo con movimenti lievi e lenti, strofinandomi di tanto in
tanto sul suo pelo.
Trattenevo la mia voglia e la sua affinché esplodesse e così fu.
In uno scatto d’impeto, scendendo su di lui, lo sentii affondare
tutto in un colpo più profondo. Iniziò a fottermi più forte che
potesse, sempre più concitato e nervoso. Dal basso spingeva il suo
bacino ad incontrare il mio trattenendo le sue mani sulle mie cosce.
Le nostre anche sbattevano rumorosamente le une contro le altre.
Non pago della posizione, mi rivoltò sul letto e me lo ritrovai
addosso. Distesa a pancia in su, sollevai le gambe e poggiai i piedi
sulle sue spalle dandogli ampia visuale dei nostri sessi. La visione
della mia figa e del suo cazzo che, lucido di miele, mi penetrava
addentrandosi e fuoriuscendo, lo fece del tutto impazzire.
Con un dito cominciò a toccarmi il clitoride mentre con il cazzo
mi scopava sempre più forte e veloce.
“Che porca che sei… godi, grida da porca…” mi diceva in
preda all’eccitazione e, nel farlo, non dava tregua al mio sesso.
Aveva ben capito che i miei orgasmi si susseguivano ormai da un po’…
davvero non li contavo più. Lui, con le mani sempre sulla mia figa,
controllava le mie contrazioni e traeva piacere dal mio godere
continuo. Sembrava avere una forza fuori dal comune, lui che non
veniva mai e io che godevo anche al minimo soffio. Ormai esausta,
decisi che avrei dovuto farlo godere prima che mi sfiancasse del
tutto.
Lo feci scendere dal letto e io mi ci misi con le mani sul bordo,
porgendogli il culo. Si avvicinò e, allungando una mano in dietro,
presi il suo cazzo e me lo diressi in figa. Mi feci scopare a pecora.
Iniziò a spingere anch’egli sfinito e, con i piedi ben piantati
a terra, presi io il ritmo. Iniziai a scorrere lungo la sua asta
mentre Federico non si muoveva. Gli dissi di concentrarsi solo sul
suo piacere e di lasciar fare a me.
Lo scopai io. Più lo fottevo e più mi sentivo disciogliere.
Sentivo il mio miele colare sempre più, misto al nostro sudore. La
stanza era impregnata dei nostri odori.
Quando la figa cominciò a bruciarmi mi disse di star per venire.
Lo feci uscire un istante prima per vedere i suoi schizzi di sperma
finirmi addosso in caldi e bianchi fiotti.
Si fermò qualche istante a recuperare fiato mentre io mi ripulivo
e tornavo sul letto.
Dopo pochi minuti si distese a fianco a me toccandomi ancora le
tette.
“Che belle sono… meravigliose” sussurrò “quest’inverno
non ci vedremo… fammi delle foto loro mentre saremo lontani e
mandamele via mail… voglio ricordarle mentre attenderò la prossima
estate”.
“Va bene Federico, va bene… “.
Da quella volta ci cercammo tutte le sere, lo facemmo ovunque…
sul portico che dava sul mare, nelle stradine vicine, in acqua…
bastava il solo sfiorarsi, il solo sguardo, e si finiva col farlo.
Tornata a casa mi ripromisi di onorare la mia promessa delle foto.
Appena possibile gliene avrei inviate.
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