giovedì 25 ottobre 2018

NON PENSARE.

Non pensare…
Chiudi la mente…
Il pensiero di lei tornava come l’onda che si infrange su di una scogliera. Come il movimento del mare continuo e irresistibile. Senza fine… senza pause.
Cercavo di opporre una diga a quei pensieri ma non esisteva rimedio. Non esisteva un angolo di mondo dove nascondermi per evitare la lama rovente del ricordo.
Io provavo a dimenticare, ci provavo in ogni modo ma più che qualche attimo di oblio non riuscivo ad ottenere e poi riemergeva e tornava lì di fronte a me a chiedere…
Perché…? Perché…? Perché…?
E io non avevo risposte.
Erano giorni che sostavo in solitudine in quell’hotel in riva al Pacifico, le giornate passate al bar a bordo piscina o in mare in lunghe nuotate incurante del pericolo delle forti correnti che a volte trascinavano al largo.
Non mi spaventavano, no… forse le cercavo, nel mio subconscio le cercavo, ma probabile che loro non volessero me… non era il momento. Troppo semplice. 
Per la gente del posto ero il “gringo loco”, non sprecavano più il fiato per avvertirmi del pericolo, tra il resto la spiaggia era costellata di cartelli che avvertivano della cosa.
Aspettavo una chiamata.
Un lavoro, se lavoro possiamo chiamarlo.
Stavo cercando di svuotare le riserve alcoliche del bar quando la vidi. Non so se mi apparve magnifica per via dell’alcol… come era probabile, ma certo che era uno spettacolo di donna.
Era in compagnia. Due uomini e due donne. Facile catalogarla. Gli uomini erano americani o canadesi non so… forse di qualche compagnia petrolifera o delle banane… e loro, le donne, erano putas… puttane, di alto bordo ma puttane. Affittate a giorni come il fuoristrada Toyota che immaginavo avessero.
Alta… la pelle ambrata di mulatta, poco seno… e un culo magnifico. Largo… largo… largo. Ora non ricordo il suo viso, so che era bella… ma il suo culo si che lo ricordo. Largo…
In piscina uno dei due la spinse contro il bordo e si mise a brancicarla… la mano che la toccava fra le cosce, lei rideva.
La volevo. La desideravo. Lei poteva darmi quei pochi attimi di oblio che cercavo. Lo sapevo che lei era adatta.
Attesi fino ad aver l’opportunità di rivolgerle la parola e molto semplicemente le dissi di aver bisogno di lei, vinsi presto la sua resistenza promettendole di darle quello che riteneva di chiedere. Mi poteva raggiungere durante la siesta mi disse… senz’altro i due uomini che l’accompagnavano sarebbero crollati e lei si sarebbe liberata. Il numero della mia camera e l’accordo per cinquecento dollari chiuse il breve colloquio.
L’attendevo sul letto… il roteare delle pale del ventilatore sul soffitto mi ricordava il rotore dell’elicottero…
Un leggero bussare e l’avevo. Ricordo il lungo momento perso dietro di lei a leccarle quel suo magnifico culo… il suo odore… e il suo sudore fra le natiche. E poi ancora i colpi forti mentre la possedevo da dietro. Lo scontrarsi del mio ventre e dei miei lombi contro quel grosso culo… e io… che non riuscivo a godere. E la scopata senza fine… io bagnato del mio sudore e lei che mi incitava a venire…
Poi… finalmente l’urlo liberatorio ma non così… non scopandola, ma grazie alle sue mani e alla sua bocca. Le sue mani… una che mi teneva per la base del pene mentre mi leccava… e l’altra con le dita nel mio culo…
L’urlo liberatorio…
Le chiesi se poteva fermarsi con me dopo che aveva finito con gli americani e quanto durava il suo impegno con loro. Il weekend disse, dopo era libera. Costo trecento dollari al giorno più le spese. Hotel, vitto e trasporto. Non più di tre giorni perché doveva rientrare a San Josè.
Un giorno solo durò la cosa… fece a tempo a raccontarmi di sé in quelle lunghe ore sul letto, qualche parola che scambiammo fra una scopata e l’altra, aveva un bambino… e viveva per lui…
E io mi chiesi se mai avrei incontrato una persona felice… se mai nella mia vita l’avrei incontrata…
Quando mi chiamarono al telefono e sentii la sua voce, la voce del mio contatto che mi diceva di alzare le chiappe e muovermi… ne fui sollevato. Non era lei che poteva darmi l’oblio.
Lei… e il suo bambino…
La pagai anche per i giorni che restavano, feci che potesse rientrare e ci congedammo.
Le augurai… una buona vita e tanta fortuna…
Il suo sorriso triste di riscontro mi fece capire che non ci credeva.


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