Non
pensare…
Chiudi
la mente…
Il pensiero di lei tornava come l’onda che si
infrange su di una scogliera. Come il movimento del mare continuo e
irresistibile. Senza fine… senza pause.
Cercavo
di opporre una diga a quei pensieri ma non esisteva rimedio. Non
esisteva un angolo di mondo dove nascondermi per evitare la lama
rovente del ricordo.
Io
provavo a dimenticare, ci provavo in ogni modo ma più che qualche
attimo di oblio non riuscivo ad ottenere e poi riemergeva e tornava
lì di fronte a me a chiedere…
Perché…?
Perché…? Perché…?
E
io non avevo risposte.
Erano
giorni che sostavo in solitudine in quell’hotel in riva al
Pacifico, le giornate passate al bar a bordo piscina o in mare in
lunghe nuotate incurante del pericolo delle forti correnti che a
volte trascinavano al largo.
Non
mi spaventavano, no… forse le cercavo, nel mio subconscio le
cercavo, ma probabile che loro non volessero me… non era il
momento. Troppo semplice.
Per la gente del posto ero il “gringo loco”, non sprecavano più il fiato per avvertirmi del pericolo, tra il resto la spiaggia era costellata di cartelli che avvertivano della cosa.
Per la gente del posto ero il “gringo loco”, non sprecavano più il fiato per avvertirmi del pericolo, tra il resto la spiaggia era costellata di cartelli che avvertivano della cosa.
Aspettavo
una chiamata.
Un
lavoro, se lavoro possiamo chiamarlo.
Stavo
cercando di svuotare le riserve alcoliche del bar quando la vidi. Non
so se mi apparve magnifica per via dell’alcol… come era
probabile, ma certo che era uno spettacolo di donna.
Era
in compagnia. Due uomini e due donne. Facile catalogarla. Gli uomini
erano americani o canadesi non so… forse di qualche compagnia
petrolifera o delle banane… e loro, le donne, erano putas…
puttane, di alto bordo ma puttane. Affittate a giorni come il
fuoristrada Toyota che immaginavo avessero.
Alta…
la pelle ambrata di mulatta, poco seno… e un culo magnifico. Largo…
largo… largo. Ora non ricordo il suo viso, so che era bella… ma
il suo culo si che lo ricordo. Largo…
In
piscina uno dei due la spinse contro il bordo e si mise a
brancicarla… la mano che la toccava fra le cosce, lei rideva.
La
volevo. La desideravo. Lei poteva darmi quei pochi attimi di oblio
che cercavo. Lo sapevo che lei era adatta.
Attesi
fino ad aver l’opportunità di rivolgerle la parola e molto
semplicemente le dissi di aver bisogno di lei, vinsi presto la sua
resistenza promettendole di darle quello che riteneva di chiedere. Mi
poteva raggiungere durante la siesta mi disse… senz’altro i due
uomini che l’accompagnavano sarebbero crollati e lei si sarebbe
liberata. Il numero della mia camera e l’accordo per cinquecento
dollari chiuse il breve colloquio.
L’attendevo
sul letto… il roteare delle pale del ventilatore sul soffitto mi
ricordava il rotore dell’elicottero…
Un
leggero bussare e l’avevo. Ricordo il lungo momento perso dietro di
lei a leccarle quel suo magnifico culo… il suo odore… e il suo
sudore fra le natiche. E poi ancora i colpi forti mentre la possedevo
da dietro. Lo scontrarsi del mio ventre e dei miei lombi contro quel
grosso culo… e io… che non riuscivo a godere. E la scopata senza
fine… io bagnato del mio sudore e lei che mi incitava a venire…
Poi…
finalmente l’urlo liberatorio ma non così… non scopandola, ma
grazie alle sue mani e alla sua bocca. Le sue mani… una che mi
teneva per la base del pene mentre mi leccava… e l’altra con le
dita nel mio culo…
L’urlo
liberatorio…
Le
chiesi se poteva fermarsi con me dopo che aveva finito con gli
americani e quanto durava il suo impegno con loro. Il weekend disse,
dopo era libera. Costo trecento dollari al giorno più le spese.
Hotel, vitto e trasporto. Non più di tre giorni perché doveva
rientrare a San Josè.
Un
giorno solo durò la cosa… fece a tempo a raccontarmi di sé in
quelle lunghe ore sul letto, qualche parola che scambiammo fra una
scopata e l’altra, aveva un bambino… e viveva per lui…
E
io mi chiesi se mai avrei incontrato una persona felice… se mai
nella mia vita l’avrei incontrata…
Quando
mi chiamarono al telefono e sentii la sua voce, la voce del mio
contatto che mi diceva di alzare le chiappe e muovermi… ne fui
sollevato. Non era lei che poteva darmi l’oblio.
Lei…
e il suo bambino…
La
pagai anche per i giorni che restavano, feci che potesse rientrare e
ci congedammo.
Le
augurai… una buona vita e tanta fortuna…
Il
suo sorriso triste di riscontro mi fece capire che non ci credeva.
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