venerdì 19 ottobre 2018

MORIRE PER RIVIVERE.


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Storia d’amore.
Io sono solo un canta-storie, nulla di quanto vi racconto è successo.
Tibet.

Settembre 2009. A bordo di un volo intercontinentale.

I lunghi viaggi in aereo gli erano diventati pesanti, la forzata immobilità faceva insorgere prima un fastidioso senso di prurito e poi un dolore che diventava sempre più forte fino ad essere insopportabile. Il dolore si localizzava inizialmente sotto il ginocchio per poi diffondersi lungo tutta la gamba fino al piede. Solo che quella parte della gamba non esisteva più.
Decise di prendere doppia dose d’antidolorifico, mentre si assopiva lasciò libera la mente di ritornare nella Valle della Bekaa...

Libano 1983.. giugno di ventisei anni prima.
I combattimenti infuriavano principalmente intorno a Bhamdoun, Souk El Gharb e Kabr Chmoun, la situazione drammatica aveva costretto migliaia di civili disperati alla fuga. Circa 30.000 persone avevano trovato sistemazione temporanea in Deir El Kamar, sarà solo nell’ottobre successivo che le Nazioni Unite riusciranno a raggiungere questa località con un convoglio della Croce Rossa.
E’ l’anno delle grandi stragi, degli attentati, dei kamikaze. 61 morti all’Ambasciata Americana il 18 aprile. 241 marines morti nella loro caserma per un attacco suicida il 23 ottobre. Poi ancora 58 paracadutisti francesi. E centinaia di civili che ne fanno le spese. E’ l’anno degli eccidi di Sabra e Chatila.
Tutti contro tutti. Gli isrealiani occupavano il Chouf e combattevano l’esercito regolare libanese, il quale a sua volta combatteva anche le milizie druse, i falangisti, i seguaci della jihad islamica, gli aderenti al Baas, il partito nazionalista siriano e quelli dell’Unione Araba socialista, i filo-iraniani.
Sono i giorni nei quali la corazzata americana New Jersey, al largo della costa, bombardava le posizioni dei drusi, dei siriani e dei palestinesi situate appena fuori Beirut, lo faceva con i suoi grossi calibri con dei proiettili talmente enormi che venivano chiamati “Flying Volkswagen”, le Volkswaken volanti!
Allora era un giovane fotoreporter ventiquattrenne, un free lance che lavorava senza alcun contratto, questo lo portava spesso a rischiare molto pur di realizzare delle foto vendibili. Non aveva soldi, era solo al mondo, possedeva solo delle vecchie macchine fotografiche e tanti sogni. Ma nel suo immaginario si vedeva come un novello Robert Capa, il grande fotoreporter di guerra e viveva del suo mito e delle sue convinzioni. Aveva impresso nel cervello il suo motto... 
Quel giorno accompagnava un giornalista americano, incosciente quanto lui e perennemente ubriaco. Alcuni giorni prima, completamente fatti e prima di finire la serata in un bordello, avevano programmato di realizzare un servizio vendibile, un’intervista a Nassir Khabib della milizia siriana del Partito Democratico Arabo. Per farlo dovevano provare a raggiungerlo nella sua roccaforte, sui contrafforti che fanno da confine con la Siria, oltre la valle della Bekaa.
Con la mente rivive ancora una volta quei momenti, ricorda che durante il lungo tragitto in jeep verso il luogo del servizio, leggeva un libretto con i poemi della poetessa Nadia Tueni, morta appena qualche mese prima, che parlava degli uomini della montagna e degli uomini del mare del Libano. Ammirava l’amore di questa donna per il proprio paese una volta felice e ora martoriato da una guerra senza fine.
L’americano sonnecchiava accanto al guidatore, un libanese di mezza età e lui aveva preso posto sul sedile posteriore. Poi un bagliore assurdo. L’auto era incappata in una mina anticarro messa proprio sulla strada. Per lui tutto svanì, non sentì nemmeno il boato.
Riprese conoscenza in un bianco assoluto, accecante, tutto bianco. Lenzuola bianche, pareti bianche, luci bianche. Seppe di essere in un ospedale dell’Onu, che era l’unico scampato e che aveva perso la gamba destra dal ginocchio in giù.

Libano 1983. Fiona.
Il giorno stesso venne a visitarlo il chirurgo che aveva compiuto l’intervento, una svizzera di circa trentanni, bionda e snella. Con poche parole gli descrisse l’intervento, la necessità dell'amputa mento e scherzosamente gli chiese se per ricordo voleva la gamba mancante, vale a dire quello che restava..
Lui chiese se era possibile imbalsamarla, voleva sistemarla su di una parete di casa a mo di trofeo, risero assieme alla macabra battuta.
La donna ritornò più e più volte e non sempre per motivi professionali. La notte, quando era di turno e se non c’erano emergenze, lo sistemava su una sedia a rotelle e lo portava in giardino a fumare e parlavano. Difficile dire cosa l’attraesse di lui. Nacque qualcosa, qualcosa fra la simpatia reciproca e l’amore, qualcosa che era più di una e meno dell’altro. In una di quelle notti, tiepide e stellate, fecero l’amore... ma non c’era molta “passione”, a lui sembrò più un atto di “compassione” da parte di lei, la volontà di una donna caritatevole di traghettare un uomo nuovamente alla vita, una trasfusione di linfa vitale, insomma una specie di terapia. Lei stessa, donna algida com’era e abituata a tutti i mali del mondo, usa a saturare piaghe e ferite senza più partecipazione, si sorprese di questo suo attaccamento e di come avesse preso a cuore la causa di quel giovane uomo senza più voglia di vivere! Si meravigliò anche di quanto era disposta a fare. Lo raggiungeva di notte e lo svegliava baciandolo, lo accarezzava fino a provocargli un’erezione e lo masturbava. Da quel momento l’amore lo fecero spesso, nella camerata mentre gli altri ricoverati dormivano, in giardino con lei che sedeva sopra lui o nel disadorno gabinetto medico sul lettino delle medicazioni. Appena lui fu in grado di muoversi passava con lui le sue ore di libertà, andavano in un luogo tranquillo, a volte nei boschi di cedri che allora erano numerosi o in qualche località sul mare non toccata dalla guerra. Parlavano molto.
Tempo tre mesi e si ritrovarono sposati.
Lui ventiquattrenne senza lavoro e senza una gamba e lei medico di trent’anni, ricca di famiglia e sempre in giro per il mondo presa dalla sua opera professionale e umanitaria.
Dimesso, lo portò con se in Svizzera, nella sua casa sul lago di Neuchatel e gli fece iniziare un periodo di riabilitazione e di presa di confidenza con la sua nuova gamba che era un vero prodigio tecnologico di duralluminio ricoperto di una pelle sintetica che sembrava vera. Il fisico reagiva, in breve poté camminare senza bastone pur zoppicando, ma il suo morale non si risollevava. Fiona, questo era il nome della donna, chiese al padre, un ricco immobiliarista con interessi anche nell’editoria, di trovargli un’occupazione temporanea, qualcosa che potesse distoglierlo dalla sua depressione e occupargli la mente.
Rivide l’ufficio del vecchio e rivisse l’attesa, nuovamente provò il medesimo malessere. Era un luogo a lui ostile, stava seduto sulla vecchia e scomoda poltrona di pelle con la vecchia segretaria che lo guardava con un’espressione di sufficienza. Era evidente che per lei era solo un arrivista, un mantenuto, un altro dei capricci di Fiona. Lui che reagiva con occhiate d’odio puro, mentalmente la malediva, la insultava, le diceva che era vecchia, vecchia quanto i pannelli di quercia che rivestivano il locale.
In quello studio si aspirava l’odore aspro del denaro, di consuetudini e di pensieri sempre eguali senza possibilità di cambiamenti, di riti perpetuati all’infinito, lì si adorava il crudele dio denaro, la divinità senza etica, era un suo tempio.
L’incontro con il vecchio grasso e calvo che, man mano procedeva il colloquio diventava sempre più indisponente ed odioso, era vestito di un pesante abito con panciotto che già era un segno distintivo della sua visione ortodossa della vita. Senza molta sensibilità, con un sorrisetto malefico, gli chiedeva se almeno era riuscito a scattare qualche foto in quel giorno dell’incidente. Lui che era tanto depresso da neanche infiammarsi e reagire al commento irridente. Non rispose alla provocazione. Poi la proposta e il suo accettare senza titubanza alcuna. Tutto, tutto pur di ricominciare a vivere e lasciare quella casa, la Svizzera e l’atmosfera soffocante, ammuffita che impregnava tutto.
Fiona era sempre lontana, in posti dal nome impronunciabile.
Il lavoro non era poi male. Un reportage fotografico nei parchi naturali del centro America, un tour da effettuare in compagnia e assistito da un naturalista locale. Il compenso non era granché, anzi piuttosto misero dato la taccagneria del vecchio e in realtà si trattava solo di un rimborso spese, ma non gli importava poi molto. Gli avrebbe dato l’occasione di tornare a lavorare, la fotografia era la sua vita. Con l’incarico gli diedero l’attrezzatura. “In prestito..”, specificò il vecchio e cioè da riportare indietro sana e salva.
I ricordi iniziarono a confondersi nella sua mente, perse il contatto con se stesso proprio quando l’immagine della memoria si fermò sull’incontro con lei all’aeroporto..

San Josè. Settembre 2009.
Al suo risveglio l’aereo era in fase d’atterraggio, dopo le formalità d’ingresso si fece portare all’albergo dove aveva prenotato una stanza e qui fece una telefonata, prese un appuntamento con il suo contatto locale.
Tre giorni dopo, in un bar dell’Avenida Central..
Il suo interlocutore era un uomo enormemente grasso. Sotto le ascelle della camicia aveva due larghi aloni di sudore, né il condizionatore, né il ventilatore a pale sul soffitto che faceva il rumore di un elicottero, riuscivano a rinfrescare adeguatamente l’ambiente.
Fu con un tono di trionfo che lo informò.
-L’ho trovata.. mister! Visto? Non è stato facile ma l’ho trovata!-
-Dov’è?-
-Ho avuto molte spese, claro che por usted no es problema, ma vorrei essere sicuro del compenso convenuto..-
Sul tavolo mise una busta, grande da documenti. Lui.. ne mise un'altra, più piccola e gonfia di banconote.
-Sono settimane che sto seguendo ogni minima traccia, da quando mi ha conferito l’incarico. L’ho seguita passo passo, sono andato in Nicaragua e in Panama seguendo tutti i suoi percorsi, tante spese, mucho dinero..-
Fecero lo scambio, le buste passarono di mano.
Il grassone aspettò che esaminasse il contenuto, nel frattempo contò il denaro.
Aprì la busta, conteneva alcuni fogli e delle foto recenti. Si, indubbiamente era lei. I vari fogli descrivevano il suo peregrinare, dicevano dove era e cosa faceva, lesse con molta attenzione.
-Hai fatto un buon lavoro..-
Il grassone volle dargli l’ultimo avvertimento.
-Mister.. non voglio offendere la sensibilità di nessuno ma è una puta, una puttana, voglio avvisarla di questo.-
-Dimmi di quest’uomo..-
-Un malo hombre.. un avanzo di galera, ladro, spacciatore, sfruttatore, da prendere con le molle..-
-Voglio ancora qualcosa da te. -
-Si..?-
-Un passaporto.. per lei. Arrangiati.. trova delle foto simili e usa un nome vero, non importa quale ma di una persona esistente, con i documenti a corredo, certificato di nascita, diploma scolastico, il libretto sanitario, insomma una fiaba vera e il passaporto senza visti, capito? Quanto tempo ti serve?-
-Serviranno due settimane o forse più. Devo trovare una donna che le assomiglia per le foto, un nome e una storia che sia compatibile. Non sarà un falso, sarà un passaporto regolare, dovrò ungere le persone giuste al ministero..–
-Cautelati che sia del tutto affidabile. Quanto..?-
-Diecimila per il passaporto, forse di più.. dipende dalle spese.-
-Ecco la metà, il resto ad affare concluso, non serve che ti dica cosa faccio se mi freghi, vero?-
-Si mister.. tranquillo..-
-Lasciami un messaggio all’hotel quando sarà pronto il passaporto, solo.. un ok, passo io a ritirarlo, chiaro? -
Raggiunse zoppicando il suo albergo e nella stanza, disteso sul letto, guardò a lungo le foto, lesse più volte le pagine che le accompagnavano, poi telefonò alla reception, voleva una macchina con autista per la mattina seguente.
Il dolore era sempre più forte. Sia quello localizzato sulla gamba mancante che quello nella testa, tolse la protesi, prese due capsule di morfina e si annullò. Fu un sonno senza sogni fino a metà della notte poi il cambiamento di fuso orario lo svegliò del tutto, non mangiava dal giorno precedente ma non aveva fame, accese il bollitore del caffè istantaneo, riprese a guardare le foto.
Era buio fuori ma la vita delle formiche umane non sembrava avere sosta, ma c’era gente che non riposava mai? O si alternavano in questa frenetica giostra?
Pensò alla sua vanità. Alla folle vanità che lo aveva portato a chiedersi cosa potesse esserci di peggio rispetto al già vissuto, senza rendersi conto che porsi tale problema è un insulto al destino, il quale come sempre punisce duramente.
Si fermò a lungo sotto la doccia, alternando l’acqua calda e fredda. Poi si rasò accuratamente. Quello che lo specchio rifletteva era un uomo di cinquantanni, un viso normale anche se segnato dalla stanchezza, quello che non diceva era che rifletteva un uomo che stava per morire.
Mancavano ancora alcune ore alla partenza. Doveva fare ordine nel suo cervello. Vivere in anticipo l’incontro, scegliere le parole per convincerla. Non voleva nessun tipo di perdono dato che neppure lui se lo concedeva, voleva solo porre rimedio per quanto possibile.
All’ora della partenza era già nella hall. Pregò l’autista di aspettarlo e nel vicino mercato locale comprò un bastone, ora.. a volte aveva necessità di sostenere la gamba mutilata. Scelse un grosso e pesante bastone da passeggio di legno tropicale.
In macchina l’autista chiese..
-Dove.. ?- Señor..?
-Portami a Carthago.. poi ti dirò..-
Voleva rivedere la casa.

Carthago 2009.
La casa esisteva ancora, ma naturalmente ora era abitata da altre persone. Le finestre, abbellite da tende multicolori a lui sembrarono degli occhi senza vita. Fermo davanti all’ingresso, all’inizio del vialetto, entrò con l’immaginazione nella casa, dall’ingresso passò nel soggiorno, poi nella stanza dove allora lui dormiva e poi ancora in quella di lei, gli sembrò di sentire ancora il suo profumo e il suono argentino della sua risata.
A fatica lasciò il luogo, si fece portare alla cattedrale. Qui.. lui ateo e peccatore, non chiese alla “Negrita”, la Madonna Nera, di fare un miracolo.. di guarirlo, ma le chiese di poter diventare il nuovo agnello sacrificale, di potersi caricare parte del male del mondo su di se, di poter essere utile almeno ad una parte dell’umanità. Gli sembrò che la Negrita muovesse le labbra e che rispondesse un no. Passò il resto della giornata nella valle di Orosi, rivisse il tempo passato rivedendo i posti dove erano stati felici.
A sera tornò in albergo.
Sul letto lasciò nuovamente libero il pensiero di tornare a quel tempo mentre il dolore tornava implacabile e puntuale. Prese gli antidolorifici.

Manuelita.. 1984.
Lei, assieme al fratello vennero a prenderlo all’aeroporto, lui.. il naturalista, era sulla trentina, bruno e simpatico, lei aveva diciotto anni, carina, snella.. bruna quanto il fratello. Nacque fra loro subito un’intesa, una simpatia spontanea. Era tempo di vacanza nel paese e lei, studentessa appena diplomata, chiese se le era possibile aggregarsi alla spedizione. Parlarono a grandi linee dei programmi futuri di lavoro e accettò subito la proposta di sistemarsi a casa loro per organizzarsi meglio. Non avevano genitori i due fratelli, erano soli al mondo come lui. Iniziarono così i lunghi viaggi in fuoristrada, la permanenza a volte di settimane nei parchi, alloggiati nei lodge o in tende da bivacco. Le lunghe attese spossanti per il caldo e gli insetti per vedere e fotografare animali rari e interessanti. Cominciarono dal parco nacional Santa Rosa, sul golfo di Papagayo, luogo dall’interessante presenza d’alberi rarissimi e da una fauna particolare, poi.. il monumento nacional Guayabo, parco archelogico e ancora il parque nacional Rincon de la Vieja e via verso il sud, il Chirripo e il Corcovado. Usò una vera montagna di pellicole che conservava in un frigo da campo, con l’intento di svilupparle e catalogarle in un secondo tempo. Durante le lunghe serate tropicali, mentre discutevano stanchi sul programma da seguire l’indomani, gli capitò di innamorarsi. Si accorse che gli piaceva tutto di lei, la sua voce, come si muoveva, il bel personale e il sorriso. Presto capì che anche lui aveva fatto breccia nel cuore di lei.. e capitò.
Un bacio, il primo bacio e gli parve di non aver mai baciato nessuna prima.
Un bacio.. e un altro e poi naturale come lo scorrere del tempo fecero l’amore.
A volte la sera, prima che il frinire delle mille cicale e i versi degli uccelli tropicali precedessero di un attimo la calata subitanea delle tenebre, raggiungevano il mare e si rinfrescavano nelle sue fresche acque. Di solito lui, per un comprensibile senso di riserbo, teneva coperta la protesi, ma quella sera.. la loro prima volta.. erano soli, il fratello lontano e si comportarono come se fossero gli ultimi sopravvissuti al mondo. Si spogliarono con frenesia e si abbracciarono. Le loro mani percorrevano il corpo della persona amata per poterne conoscere ogni minimo particolare. Lei osservò con curiosità la gamba amputata e la protesi e accettò la cosa senza riserva. I baci diventarono sempre più passionali e lui la fece sua, con pazienza, dolcezza e infinito amore. Lo fecero sul bagnasciuga mentre l’acqua delle onde a volte li ricopriva di una schiuma salata. Lui era il suo primo uomo e lei si donò con tutto l’ardore, la sua passione, con tutta se stessa. Continuarono per tutta la notte nella stanza della locanda dove alloggiavano, con il rumore della risacca che faceva da sottofondo e la brezza marina che entrava dalle finestre aperte e muoveva le tende. Da quel momento lo fecero spesso, pazzamente, approfittando d’ogni occasione possibile. Giorno e notte. Nelle fincas dove dormivano, all’aperto e naturalmente nella casa di Carthago quando vi si trovavano.
Disse al fratello che voleva sposarla, che Manuelita era la donna della sua vita, solo che dimenticò volontariamente di precisare che sposato già lo era. Non lo disse allora, non lo disse subito e poi.. un solo attimo dopo era troppo tardi per dirlo.
Fu allora che scoprì con suo dispiacere che dentro di lui conviveva un altro se stesso, un mentitore e la cosa gli causò malessere. Per egoismo relegava quella parte infida al di fuori di sé come se non esistesse. Si giustificava.. sosteneva con se stesso che ora era felice e che non voleva rinunciare a quanto aveva. Voleva vivere quella vita e niente d’altro. Si nascondeva i problemi e le difficoltà.
A scadenza più o meno regolare si faceva vivo con Fiona, si sentivano per telefono, a lei non aveva mai detto “ ti amo” e si accorse quanto gli era facile mentirle, rimandava di volta in volta il ritorno in Europa.
Furono settimane e mesi di felicità. Ora.. mentre li ricordava.. pensava a come sarebbe stato facile allora trasformare i momenti in una continuità. Bastava che allora si decidesse ad abbandonare il suo passato per la nuova vita. Non lo fece.
Per un seguito d'accadimenti imprevisti, non voluti, il suo ritorno in Europa divenne una necessità improrogabile e lui lo fece con il proponimento di un rapido rientro, la convinzione di poter provvedere velocemente alla separazione e al successivo divorzio da Fiona.
Poi la lettera di lei.. felice.. era in attesa, aspettava un suo bambino.
Lui voleva tornare! Lo voleva! Ma ora c’era sempre qualcosa che lo tratteneva, il lavoro con i negativi delle foto scattate, la scelta delle stesse per il servizio, un impegno e poi ancora un altro. Rimandava ogni volta. Non si rendeva conto che le aveva promesso una vita di sogno e colpevolmente invece le riservò una tragedia.
Infine ritornò ma era ormai troppo tardi, tutto era già successo. Lei era morta assieme al fratello in un incidente, la bambina data in adozione. Sentì il vento freddo della morte accarezzarlo e fuggì. Non penso alla piccola.

Europa 1985-2009.
Ritornò definitivamente in Europa e rimosse con il tempo quanto accaduto.
Lo relegò insieme alle rinunce, alle delusioni, ai sogni infranti e ai fatti che non voleva più ricordare, mise tutto in quell’angolo buio del cervello che ha questa funzione.
Fiona a quel tempo intervenne duramente con il padre, gli ricordò che lei era un’azionista importante della società e ottenne per lui un incarico presso una rivista d’attualità. Riprese a fotografare, non più servizi di guerra ora ma un po’ di tutto: belle donne, vestiti, oggetti, viaggi, musei.. si specializzò in inchieste su criminalità e malapolitica e si lasciò travolgere dal superfluo, dall’effimero, dalla sua libidine che ormai agiva da oppio per ottenebrargli i pensieri e ai trasformava in bramosia di nuove sensazioni, sempre più forti. Gli piaceva il sesso, gli piaceva apparire e le donne ormai erano meteore, apparivano, luccicavano un attimo e sparivano. Cadeva sempre più in basso.. frequentava gente equivoca, diventò amico di personaggi pericolosi che vivevano al margine della società, esponenti della malavita.
Non s’innamorò mai più.
Passavano gli anni e ogni tanto rigurgitava fuori dall’angolo buio del cervello il ricordo di lei, lui cercava di giustificarsi per poi capitolare sotto il peso dei rimorsi e si colpevolizzava senza pietà. In quelle crisi di coscienza sempre più profonde cercava di ributtare a forza tutto nel dimenticatoio. A volte non gli era tanto facile e si stordiva usando sesso, droga e alcol, si assentava dal contatto con la vita per giorni. Si estraniava cercando un rifugio e si nascondeva come un animale braccato.
Fiona era un punto fermo, non seppe mai di Manuelita, credeva che il suo disagio mentale dipendesse dal suo modo di vivere. Il loro rapporto era questo, non si amavano ma inspiegabilmente restavano uniti.

Europa. Anno 2009..
L’annuncio della fine e il suo riscoprirsi.
Il morire per rivivere, i fatti legati fra loro come anelli di una catena.
Tutto da accadere in un breve periodo temporale.
La morte per infarto del vecchio, deceduto alla sua scrivania come un soldato in trincea, sempre vigile, eterna sentinella, sempre convinto di dover difendere il suo mondo, sbagliato, da chissà quale pericolo.
Il funerale. Fiona vestita a lutto e diventata vecchia nel rincorrere e cercare di sanare il male del mondo.
Fiona che muore, lì a pochi mesi, precipitando con un aereo della Croce Rossa.
Ora è solo ed è malato. Ha ereditato i beni di Fiona. Ripensa alla sua vita e decide il suo futuro.
Fa alcune telefonate a persone che gli devono un favore, tempo pochi giorni ed ottiene un numero telefonico, da l’incarico di svolgere una ricerca.

San Jose.. 2009.
La mattina successiva lasciò l’albergo mettendo in deposito i suoi bagagli, aveva con se solo una borsa con il minimo necessario, si fece portare all’aeroporto dove noleggiò un volo privato.
Il piccolo velivolo sorvolò buona parte del paese nel suo viaggio verso nord. Lui osservava con interesse il continuo cambiamento di scenario, si ricordò dei suoi viaggi. A sera era a destinazione.

Upala.. al confine con il Nicaragua. 2009.
Per quanto fosse impaziente di incontrarla, evitò di farlo quella sera stessa, cercò alloggio in un motel sulla carretera nacional, appena oltre l’aeroporto locale.
Dormì tutta la notte anestetizzato dagli antidolorifici.
La mattina successiva era in centro, passò alcune ore come un normale turista ad esaminare i dintorni del locale che lo interessava, quello dove lei lavorava. Le varie strade del centro, secondo lo schema classico coloniale, s’intersecavano ad angolo retto, i palazzi e residenze del periodo spagnolo erano in disfacimento, mostravano i segni devastanti del tempo.
Si sedette al tavolo di un bar e attese la sera. Con la caduta del buio e con l’accensione delle luci la cittadina prese vita, le strade si riempirono di gente chiassosa e nel fresco gli abitanti scesero in piazza per il passeggio serale.
Lui aspettò ancora. Quando infine si decise ad entrare nel locale c’era diversa gente, in massima parte uomini in compagnia di ragazze che dimostravano con il loro atteggiamento che tipo di locale era.. un bordello.
Trovo posto al bancone.

Upala 2009. Mercedes.
Al barman ordinò..
-Coronas..-
Fu servito e lui domandò..
-Non vedo Mercedes.. verrà stasera..?-
-Certamente.. a minuti sarà qui.. –
La vide entrare da una porta che probabilmente portava all’ufficio, attese che si avvicinasse e le fece un cenno.
Era lei! Ancora più bella di come l’aveva immaginata guardando le sue foto. Stessi capelli, carnagione, occhi e una figura molto sensuale, più rotonda nei punti giusti, più seno, più sedere.
-Mercedes.. vero? Posso offrirti da bere..?-
-Certo che puoi..-
Lei si rivolse al barman e ordinò un pisco sour.
-Che stai cercando.. uomo?-
-Compagnia.. che altro? La compagnia di una bella donna..-
-Qui la puoi trovare, ti chiamo una delle mie sorelline? Sono molto graziose e sanno tanti giochini che ti piaceranno..-
-Tu.. non sei disponibile? -
-Io? Mi spiace.. sono merce pregiata e sono proprietà privata. Non sono un boccone per tutti i palati, spiacente davvero tesoro.. ma non te gusta quella chica laggiù? Muy caliente..-
-Peccato. Comunque potresti dire al tuo.. padrone.. quanto potrei essere generoso? Diciamo trecento per lui.. e per te altri trecento che non gli diciamo che ti do e che puoi intascarti senza che lui sappia? E dai.. seicento dollari sonanti per una notte non è poco..-
-Trecento dollari? Non credo che il mio uomo accetti..-
-Cinquecento e cinquecento per te?-
-Mille dollari? Che c’è sotto.. uomo? Per quanto ne so.. non c’è donna qui che valga tanto.. neppure io..-
-Facciamo che sono pazzo di te? Sono un ricco gringo loco. Nulla di più di quanto ti ho chiesto, mille dollari per una notte da ora a domattina, su.. vai a chiedere al tuo padrone..-
Il valore del denaro!
E’ davvero la chiave che può aprire tutte le porte!
Mercedes gli diede un’ultima occhiata perplessa mentre prendeva quella porta dalla quale era uscita poco prima. Ne uscì poco dopo in compagnia di un uomo, bruno e snello, vestito come se stesse interpretando un film americano di gangster, mentre si avvicinava lo squadrò e lui cercò di assumere un atteggiamento innocuo, inoffensivo.
-Mercedes mi ha detto che sei disposto a pagare 500 dollari per la sua compagnia.. ma sei sicuro di averli? Fammi vedere il colore dei tuoi soldi..-
Mostrò i cinque biglietti da cento dollari. Li aprì a ventaglio.
-Muy bien.. ma Mercedes non esce da qui. Lo farete nella sua stanza al piano di sopra e sgombri all’ora di chiusura.. claro? Dammi il dinero..-
Segui Mercedes e salirono al piano superiore, entrarono in una stanza che sapeva di lei, c’era il suo profumo..
-Dammi il mio denaro.. quello che mi hai promesso.-
Le diede il denaro e lei lo nascose.
-Preferenze.. uomo? Per mille dollari devo darti tutto quello che vuoi, bocca.. fica e magari vuoi anche il mio culo?-
Iniziò a spogliarsi ma lui la fermò con un gesto..
-Aspetta.. voglio parlare..-
-Lo sapevo che c’era qualcosa di strano! Lo sentivo a pelle! Attento che con un grido faccio accorrere tutto il locale! Io non voglio parlare.. se vuoi fottere bene! Se non vuoi.. te ne vai! E non ti ridò il denaro.-
-Ascolta.. sono tuo padre..-
-Mio padre? Non ho padre.. io! Ah.. capito! Vuoi giocare.. vuoi che faccia la parte di tua figlia e tu quella del padre sporcaccione e incestuoso? Va bene.. posso farlo.. paparino! Cosa non si deve fare in questo mestiere!-
-Sono tuo padre davvero.. ho amato tua madre, Manuelita.. eravamo innamorati e abbiamo concepito te, poi per mia colpa lei è rimasta sola ed è morta dopo che ti ha messo alla luce, credimi.. che scopo avrei a dirti queste cose? Se non a voler rimediare a quanto fatto? Vengo dall’Europa per poterlo fare..-
Mercedes prese a camminare per la stanza alzando le braccia sopra di se.
-Bastardo.. bastardo.. ma che stai farneticando? Non ho padre, ho vissuto una vita di merda! Anche se tu lo fossi veramente e non ci credo, chi lo vuole un padre? Ho passato la mia vita da una famiglia adottiva ad un’altra, lo sai che mi hanno violentata da bambina? Sfruttata? Utilizzata come serva e puttana? Bastardo.. e perché ora? E non prima?-
-Sono colpevole d’ogni cosa che dici ma sto morendo, ho pochi mesi di vita e per quanto posso voglio rimediare.. lasciamelo fare, odiami.. maledicimi..! Ma lasciamelo fare.. forse morirò meno infelice di quanto sono..-
-Perché ora? E non prima?! Ora sono una puttana e resterò per sempre una puttana! Perché ora? Non potevi venire prima che profondassi in quest’orrore?-
Il loro discutere durò buona parte della notte, Mercedes che si ribellava all’idea di avere un padre e lui che cercava di convincerla. Mercedes arrivò a colpirlo ripetutamente sul viso ingiuriandolo pesantemente e lui accettò il fatto, subì le percosse e le offese senza reagire, infine lei scoppiò in un pianto a dirotto, i singulti le scuotevano il corpo. Solo allora si lasciò avvicinare. Lui le prese le mani e la fece sedere sul letto, le si mise accanto, l’abbracciò passandole un braccio sulle spalle e prese a raccontarle cosa intendeva fare. Voleva che lei risorgesse a nuova vita, che lasciasse dietro di se quello che aveva vissuto fino ad ora.. s’incaricava lui di tutto.
-Lui non non mi lascerà mai andare via, pensa che io sia un suo oggetto, una sua proprietà..-
-Ci provo.. mi offro di comprarti, ma tu lo ami? E’ il tuo uomo..-
-Forse una volta.. all’inizio ma ora non più, mi ha comprato pure lui come un oggetto, all’inizio era gentile con me.. ma ora cerca ragazze più giovani, io per lui sono già vecchia ho già ventiquattro anni, troppi in questo ambiente dove iniziano a tredici, quattordici anni, mi tratta male, no.. non lo amo, lo odio!-
-Pensi che accetterà di cederti..?-
-Dipende dalla cifra.. forse si se è abbastanza elevata.. forse accetterà per cercare di fregarti subito dopo aver preso i soldi.. perché sei un gringo.. perché fondamentalmente è disonesto..-
-O lo fa.. o l’uccido. Non credo ci sia alternativa. Non voglio spargere il sangue di nessuno ma se è necessario.. lo faccio. Tu vuoi abbandonare questa vita? Sarai ricca sai..? Ho dei progetti per te, sarai la mia unica erede, potrai vivere dove vorrai e come vorrai, nessuno saprà mai cosa hai vissuto, dovrai essere tu a voler dimenticare e dimenticare anche me, che ti ho tradito alla nascita.-
-Cosa intendi fare..? Lui è violento e infido.. devi stare attento..-
-Ora aspettiamo.. facciamo passare il tempo come se scopassimo davvero. Torno domani e ti richiedo e poi cerco di sistemare questa cosa a modo mio. Tu devi essere d’accordo su tutto quello che farò, deve lasciarti andare o l’uccido. Ma questo non deve saperlo, vediamo prima come reagisce, nessuna minaccia quindi. Poi torniamo a San Josè, ti ho già procurato il tuo nuovo passaporto.. e dopo nuova vita. Sarai ricca e libera. Non sappiamo neanche come ti chiamerai. Sarai una nuova Araba Fenix.. rinascerai dalle tue ceneri.–
All’ora di chiusura lasciò la stanza di Mercedes e tornò al suo motel. Avevano parlato per tutto il tempo, parlato di tutto. La sera successiva tornò e nuovamente la richiese. Nuovamente pagò i cinquecento dollari. Non vedeva l’ora di rivederla, ora ogni attimo che le stava distante era un tormento. Molto più tardi scese e bussò alla porta dell’ufficio.
Il magnaccia era seduto ad una scrivania e nascose subito i soldi che stava contando.
-Sei tu? Che vuoi? Mercedes non fa la brava bambina? Non accetto richieste di rimborso..-
-Voglio proporti un affare.. un affare che non potrai non accettare..-
-Cosa..? Che roba tratti tu? Che vendi..?-
-Non vendo.. io compro. Io compro e tu vendi. Voglio Mercedes..-
-Mercedes è la mia donna.. non è affatto in vendita. Mi rende bene.. io non vendo le mie donne.-
-Trattiamo? Fai un prezzo e vediamo..-
Ah.. quel suo sguardo! “Sei un uomo infido.. ti sei tradito”.. pensò, quello sguardo lo condannò.
-Cinquantamila..-
-No.. la metà. Venticinquemila..-
Non voleva certo far oggetto di mercato la figlia ritrovata, ma doveva tenere banco, mostrarsi testardo e poi arrendevole il giusto. Seguitò il gioco. Del domanda e dell’offerta.
-Quarantamila..-
-Trentacinquemila.. è la mia ultima offerta..-
L’uomo accettò troppo presto e così confermò la sua intenzione di farsi pagare per poi.. chissà? Magari farlo scomparire in qualche fossa fuori città. Presero accordi per lo scambio da lì a tre giorni, lui doveva tornava a San Jose per procurarsi il denaro.
Risalì da Mercedes.
-Dovrò ucciderlo.. Mercedes, ha accettato di cederti ma ha l’intenzione di prendere i soldi ed eliminarmi o comunque non terrà fede alla parola data.. dovrò farlo..-
-Non voglio che rischi per me. Ho bisogno di saperti vicino ora. Non posso concepire il mio futuro senza te.-
-Va tutto bene. Risolvo tutto.. fidati..-
La notte stessa telefonò a San Jose. Dopo poche ore di sonno affittò un aereo per un volo per la capitale, trovò il grassone al solito bar.

San Jose 2009.
-Voglio un revolver 38 special. Vecchio.. non nuovo, provvedi tu a cancellare il numero di matricola con l’acido, sostituisci la canna e il percussore con degli altri nuovi, inoltre mi procuri un silenziatore e una scatola di cartucce. E li voglio.. per ieri.. cioè subito.. a qualsiasi prezzo.. mi hai capito?-
-Mi servono un paio di giorni.. duemila dollari..-
-Appena l’hai chiamami in camera..-
Passò i due giorni a pensare a Mercedes. Rivedeva pienamente in lei Manuelita, aveva i suoi capelli, gli stessi occhi, la stessa bocca. Gli pareva di poterla far rivivere in lei. Era quello che desiderava di più al mondo.. rivivere la sensazione della sua vicinanza.
Il terzo giorno il grassone lo chiamò in camera e fecero lo scambio nel gabinetto dell’hotel stesso. Volle provare il revolver e il grassone lo portò con la sua macchina appena fuori città. Dopo l’accompagnò all’aeroporto, a sera era di nuovo a Upala.

Upala 2009.
Nel frattempo Mercedes ebbe un colloquio piuttosto vivace con il suo uomo, questi la maltrattò un po’, qualche schiaffo giusto per ammorbidirle la volontà, le chiese dello straniero, di cosa desiderasse veramente e chi era, lei rispose che era uno strano e si era messo in testa di sposarla. Mentì su tutto, finse anche una specie di piacere mentre lui la piegava e la possedeva con violenza per dimostrarle che era cosa sua, mentre usciva le disse che voleva i soldi del contratto e che poi lo straniero sarebbe sparito. La prossima volta doveva dirgli addio, salutarlo per sempre.

Upala 2009. Il protettore.
Ora il dolore era subdolo, mentre prima tornava con una certa puntualità ed era perciò prevedibile adesso lo colpiva all’improvviso con fitte lancinanti. Prese allora la decisione di prendere sistematicamente gli antidolorifici e non al momento del bisogno, ma era permanentemente annebbiato. La sera del suo ritorno ad Upala era nuovamente nel locale. Salì con lei nella sua camera e parlarono a lungo. Le spiegò con cura cosa doveva fare e discese solo quando fu certo che avesse capito perfettamente.
Si guardò intorno e certo di non essere visto entrò nell’ufficio, fu accolto da una domanda.
-Hai i soldi..?-
-Certo.. possiamo fare lo scambio..-
Levò il revolver munito di silenziatore di tasca e glielo puntò alla faccia.
-Sei uno sciocco.. ti sei lasciato prendere dall’avidità, non sai che è una debolezza?-
-Che fai? Tu sei pazzo.. –
-Fai una cosa.. se non accetti ti uccido, nessuno sentirà lo sparo. Prendi carta e penna..-
-Scrivi sul foglio che hai davanti.. scrivi bene.. scrivi questo.. mi sto vendendo, vendo la mia anima per trentacinquemila dollari.. devi scrivere questa frase, queste parole.. firma.-
Osservò mentre scriveva.. era mancino.
-Firmala.. firma quel foglio. Chissà perché ti sei ritenuto furbo e in grado di fregarmi, eppure ti avevo avvisato prima che non ammettevo un rifiuto e fregature. Non voglio complicazioni, mi spiace per te..-
Gli si avvicinò e gli si pose alla sua sinistra, rapidamente gli appoggiò il revolver alla tempia e premette il grilletto, si sentì solo il colpo ammortizzato dal silenziatore, l’impatto con il proiettile gettò a terra l’uomo che quando raggiunse il pavimento era già morto. Pulì l’arma e poi gliela mise nella mano sinistra e usando la sua mano inerte sparò nuovamente verso la parete premendo il grilletto affinché le particelle di polvere da sparo gli si disperdessero sulla pelle. Tolse e si mise in tasta il silenziatore.
Ecco.. allestita la scena perfetta di un suicidio, il colpo alla tempia e lo scritto, ambiguo ma sufficiente a simulare un valido motivo. Voleva lasciare sul tavolo la somma pattuita ma tanto sarebbe stata prelevata dalla polizia ed era uno spreco. Cercò e trovò un’automatica nei cassetti della scrivania, la prese con se, perché far sorgere dubbi sul fatto che non avesse usato la sua arma per uccidersi?
Tornò nel locale, nessuno fece caso a lui, risalì da lei.
-Sei libera.. siamo liberi Mercedes..–
Le raccontò cosa era successo e che era stato obbligato a farlo. Mercedes si sentì finalmente libera. Lei, come la Fenice poteva rinascere dalle sue ceneri e riprendere il volo dimenticando il passato e vivere ora con nuove aspettative.
La lasciò e ritornò al suo motel. Il giorno successivo gli abitanti della cittadina non parlavano d’altro che del suicidio avvenuto, ma nessuno rimpiangeva veramente il morto. Mercedes aveva lasciato la sua stanza sopra il locale e aveva preso alloggio in un albergo.
Le chiese di lasciare tutto dietro di se. Ogni cosa. Volarono a San Josè separatamente, lei aveva con se solo il minimo necessario, niente bagagli. Prese alloggio nel residence indicatole mentre lui tornò al suo albergo in attesa del nuovo passaporto che il grassone doveva fornire. Ogni giorno passavano molte ore assieme.. e ogni minuto in sua presenza gli riempiva il cuore di felicità, rivedeva in lei Manuelita, in ogni suo gesto e nel suo sorriso luminoso.
Una settimana dopo telefonò il grassone. Aveva il passaporto ma c’erano delle complicazioni, delle spiacevoli novità, visto quanto era successo ad Upala ora il passaporto valeva più soldi di quanto concordato.. molto di più. Si misero d’accordo per incontrarsi il giorno dopo davanti al palazzo della Posta, avrebbero fatto lo scambio nella macchina. Quando..? A che ora? Chiese il grassone. Il tempo di procurarmi i soldi.. rispose lui.. lo tiene in una cassetta di sicurezza del banco Central. Ritirava il denaro e poi potevano incontrarsi alle sei? L’indomani nel primo pomeriggio si recò in centro città, lasciò sola Mercedes e prima di entrare in banca comprò in un negozio una valigetta ventiquattrore, in un altro negozio.. una drogheria, comprò delle bottiglie contenenti alcol denaturato 90° gradi, altamente infiammabile e della benzina avio, mise le bottiglie nella valigetta. Si recò in banca e ne uscì dopo una mezz’ora abbondante, una semplice precauzione nel caso fosse seguito. Nell’attesa dell’appuntamento si riparò nell’aria condizionata del Bar Central. All’ora convenuta aspettò il grassone davanti al palazzo delle Poste.

San Josè.. 2009. Il grassone.
Il grassone passò a prenderlo poco dopo. Lui salì nella macchina, gi disse di andare fuori città in un posto isolato per lo scambio. Il grassone gli chiese se avesse il denaro e lui mostrò la valigetta. Non sapeva se lo aveva seguito né le sue vere intenzioni oltre a quelle di ricattarlo ma doveva anticiparne le mosse. Appena fuori città levò l’automatica presa ad Upala che era appartenuta al protettore di Mercedes e gliela mostrò, la tenne puntata verso lui.
Il grassone prese a sudare ancora più copiosamente, ora lo pregava piagnucolando, il passaporto glielo avrebbe dato senza sovrapprezzo, ma ormai il suo destino era segnato. Gli ordinò di dirigersi verso Alaujela, poco prima della cittadina gli indicò una strada che s’immetteva nella rada boscaglia, lo fece fermare.
Gli intimò di dargli il passaporto e i documenti allegati e senza fare mosse azzardate se non voleva morire subito, alla magra luce dell’abitacolo lo esaminò superficialmente, rimandò a più tardi un esame più accurato, se lo mise in tasca.
Gli ordinò di scendere e di mettersi in ginocchio. Ora il dilemma.. l’avrebbe lasciato qui passando sopra al tentativo di ricatto? Con il solo castigo di dover farsi a piedi la strada fino alla città? Questo gli sarebbe bastato come lezione? Il grassone ora pregava.. lo scongiurava di lasciarlo vivere, prometteva mari e monti. Lui non lo ascoltava, pensava a quanto gli esosi diventano sciocchi e ingenui all’estremo e probabilmente sono tanto stupidi che non imparano mai. Gli chiese chi altri sapesse del passaporto, solo il funzionario che lo aveva rilasciato ma non sapeva altro, rispose il grassone. Ora doveva garantire a Mercedes il futuro, non esisteva una altra alternativa e sparò. i proiettili esplosi in rapida successione colpirono al nuca il grassone che cadde pesantemente a terra senza vita. Gli sparò nuovamente in corrispondenza della bocca per distruggere eventuali lavori dentari che potessero portare alla sua identificazione. Lo perquisì quindi accuratamente, scoprì che teneva una piccola automatica calibro 22 in una fondina alla caviglia, la prese con se come anche il portafogli e l’anello che portava al dito. Controllò nuovamente e lo cosparse abbondantemente di alcol, di benzina avio e diede fuoco, rimise i contenitori nella valigetta. Mentre il corpo bruciava si allontanò con la sua macchina. Il suo programma iniziale era di far esplodere anche la vettura ma cambiò idea, buttò in un canale le pistole, il portafogli e l’anello, ritornò in città e parcheggiò in una strada periferica. Pulì accuratamente ogni parte che poteva aver toccato. Gettò la valigetta e i contenitori nell’immondizia. Non aveva rimorso alcuno, ucciderlo era una forma di difesa. Il grassone, fornendogli l’arma e sapendo dell’uomo di Upala, con un semplice ragionamento era arrivato a capire cosa era veramente successo, li avrebbe ricattati. Non poteva permetterlo, doveva garantire Mercedes e il suo futuro. Ucciderlo era stato un passo obbligato.
Poco distante fermò un taxi e si fece condurre in centro, raggiunse a piedi il suo albergo. Di quanto accaduto non disse mai nulla a Mercedes, il fardello ulteriore doveva portarlo lui. Esaminò con cura il passaporto che non lo convinse completamente e decise che lo avrebbero usato con molta cautela, lasciarono il paese via terra dove i controlli erano più superficiali che in aeroporto.




2009. Panama City – Una villa sul mare a Isla Flamenco.

Era stato tutto programmato da tempo.
Si sposarono all’ambasciata svizzera di Panama City. Era un matrimonio di facciata ma formalmente valido. Lo aveva preferito al riconoscimento di paternità o a un provvedimento d’adozione. Fece un testamento nel quale lasciava ogni suo bene a Mercedes che aveva ora la nuova identità. Con il matrimonio lei acquisì il diritto di chiedere la cittadinanza e un passaporto svizzero. Le relative domande furono inoltrare con procedura d’urgenza e lui mise in moto le sue conoscenze per favorirne la concessione. Le ricordò che doveva aspettare lì... a Panama il nuovo passaporto, il vecchio non avrebbe dovuto mai utilizzarlo o solo per le banche e le registrazioni in albergo.
I loro giorni li trascorrevano assieme, perennemente. Poco dopo l’arrivo e nonostante la villa contasse diverse stanze, presero l’abitudine di dormire nello stesso letto. Il motivo era quello di poter parlare e raccontarsi a lungo, a volte fino a notte inoltrata. Insomma volevano viversi pienamente per il poco tempo che restava. Le raccontava di Manuelita, di sua madre e Mercedes ascoltava rapita. Aveva facilmente dimenticato la vita fatta fino a poche settimane prima. Non voleva credere che l’uomo che era suo padre e che le aveva cambiato la vita potesse morire entro pochi mesi, lo riteneva una crudeltà del destino.
Una notte.. erano a fianco a fianco sul letto, lui, vedendo il chiarore della luna che entrava dalla portafinestra aperta, ritornò con la mente alle notti passate con Manuelita in quella locanda sul mare. Mercedes.. lo guardava e ascoltava. Presa da un trasporto di tenerezza volle baciarlo, non voleva essere null’altro che un bacio di partecipazione ma divenne ben altro. Nessuno dei due voleva che succedesse quanto successe. Le bocche s’incontrarono e divenne loro impossibile staccarle. La partecipazione di lei ora era di vera passione, passione vera e non compassione, presto i corpi furono nudi e assetati di sensazioni, di voglia conoscersi carnalmente, di saziarsi, di impregnarsi dell’odore e del sapore del corpo di chi abbracciava. Successe.. e fu una cosa meravigliosa fare l’amore.
Dopo.. lui disse.. che non sarebbe dovuto succedere. Lei ribadì non aveva nessun tipo di rimpianto. Lo avevano voluto ambedue. Era successo e che per quanto la riguardava lo avrebbe rifatto. Mercedes voleva usare la sua forza e la giovinezza come un elisir da trasferirgli, un elisir di lunga vita. Fecero l’amore diverse volte nei giorni seguenti, che divennero settimane. Sembrava che l’amore potesse fare il miracolo finché in una una giornata disgraziata lui non perse i sensi.
La malattia aveva vinto sull’amore.
Quello stesso giorno, quando lui riprese i sensi, le disse che l’amava... che amava Manuelita e Mercedes nella sua stessa persona. Lei pianse di commozione.
Da quel momento deperì rapidamente giorno per giorno. Era ormai evidente che la malattia che lo minava non gli avrebbe lasciato molto tempo da vivere. Il suo aspetto era macilento e il dover continuamente ricorrere a farmaci sempre più forti per vincere il dolore lo stordiva. Dormiva per buona parte del giorno.
Mercedes era cambiata, la sua vita precedente l’aveva resa arida ma ora aveva preso ad amare, aveva riscoperto sentimenti di partecipazione e di carità che non sapeva di possedere, soffriva nel vederlo consumare come una candela accesa.

Panama 2009. L’ultimo giorno.
-Mercedes.. è arrivato il mio momento. Continuare così non mi va, mi vedo ridotto ad un vegetale e non lo sopporto. Voglio morire a modo mio, morire come sempre mi sarebbe piaciuto. Mi aiuterai? Non piangere e non soffrire per me, il mio morire è come un rinascere, ho potuto ritrovare te e con te rivivere Manuelita.-
Il pomeriggio raggiunsero la spiaggia che fronteggiava l’oceano Pacifico. Era una spiaggia poco frequentata e molto pericolosa per via delle forti correnti oceaniche che portavano al largo, molti nuotatori vi avevano trovato la morte.
Lui si spogliò e appena nell’acqua si tolse la protesi e si portò nuotando al largo mentre Mercedes lo guardava e piangeva silenziosamente.
Il corpo fu ritrovato tre giorni dopo al largo di Punta Patilla, Mercedes fu chiamata per il riconoscimento del cadavere.
Pianse altre lacrime.. ma si era fatta la convinzione che si sarebbero ritrovati. In un’altra vita. Quando ebbe il nuovo passaporto lasciò definitamente il centro america, non vi sarebbe mai più tornata.


E’ possibile cambiare radicalmente vita?
Quante volte si può ricominciare da zero?

(Bernardo Atxaga, poeta basco.)



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