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Storia
d’amore.
Io sono solo un canta-storie, nulla di quanto vi
racconto è successo.
Tibet.
Settembre
2009. A bordo di un volo intercontinentale.
I
lunghi viaggi in aereo gli erano diventati pesanti, la forzata
immobilità faceva insorgere prima un fastidioso senso di prurito e
poi un dolore che diventava sempre più forte fino ad essere
insopportabile. Il dolore si localizzava inizialmente sotto il
ginocchio per poi diffondersi lungo tutta la gamba fino al piede.
Solo che quella parte della gamba non esisteva più.
Decise di prendere doppia dose
d’antidolorifico, mentre si assopiva lasciò libera la mente di
ritornare nella Valle della Bekaa...
Libano
1983.. giugno di ventisei anni prima.
I
combattimenti infuriavano principalmente intorno a Bhamdoun, Souk El
Gharb e Kabr Chmoun, la situazione drammatica aveva costretto
migliaia di civili disperati alla fuga. Circa 30.000 persone avevano
trovato sistemazione temporanea in Deir El Kamar, sarà solo
nell’ottobre successivo che le Nazioni Unite riusciranno a
raggiungere questa località con un convoglio della Croce Rossa.
E’
l’anno delle grandi stragi, degli attentati, dei kamikaze. 61 morti
all’Ambasciata Americana il 18 aprile. 241 marines morti nella loro
caserma per un attacco suicida il 23 ottobre. Poi ancora 58
paracadutisti francesi. E centinaia di civili che ne fanno le spese.
E’ l’anno degli eccidi di Sabra e Chatila.
Tutti
contro tutti. Gli isrealiani occupavano il Chouf e combattevano
l’esercito regolare libanese, il quale a sua volta combatteva anche
le milizie druse, i falangisti, i seguaci della jihad islamica, gli
aderenti al Baas, il partito nazionalista siriano e quelli
dell’Unione Araba socialista, i filo-iraniani.
Sono
i giorni nei quali la corazzata americana New Jersey, al largo della
costa, bombardava le posizioni dei drusi, dei siriani e dei
palestinesi situate appena fuori Beirut, lo faceva con i suoi grossi
calibri con dei proiettili talmente enormi che venivano chiamati
“Flying Volkswagen”, le Volkswaken volanti!
Allora
era un giovane fotoreporter ventiquattrenne, un free lance che
lavorava senza alcun contratto, questo lo portava spesso a rischiare
molto pur di realizzare delle foto vendibili. Non aveva soldi, era
solo al mondo, possedeva solo delle vecchie macchine fotografiche e
tanti sogni. Ma nel suo immaginario si vedeva come un novello Robert
Capa, il grande fotoreporter di guerra e viveva del suo mito e delle
sue convinzioni. Aveva impresso nel cervello il suo motto...
Quel giorno accompagnava un giornalista americano,
incosciente quanto lui e perennemente ubriaco. Alcuni giorni prima,
completamente fatti e prima di finire la serata in un bordello,
avevano programmato di realizzare un servizio vendibile,
un’intervista a Nassir Khabib della milizia siriana del Partito
Democratico Arabo. Per farlo dovevano provare a raggiungerlo nella
sua roccaforte, sui contrafforti che fanno da confine con la Siria,
oltre la valle della Bekaa.
Con
la mente rivive ancora una volta quei momenti, ricorda che durante il
lungo tragitto in jeep verso il luogo del servizio, leggeva un
libretto con i poemi della poetessa Nadia Tueni, morta appena qualche
mese prima, che parlava degli uomini della montagna e degli uomini
del mare del Libano. Ammirava l’amore di questa donna per il
proprio paese una volta felice e ora martoriato da una guerra senza
fine.
L’americano
sonnecchiava accanto al guidatore, un libanese di mezza età e lui
aveva preso posto sul sedile posteriore. Poi un bagliore assurdo.
L’auto era incappata in una mina anticarro messa proprio sulla
strada. Per lui tutto svanì, non sentì nemmeno il boato.
Riprese
conoscenza in un bianco assoluto, accecante, tutto bianco. Lenzuola
bianche, pareti bianche, luci bianche. Seppe di essere in un ospedale
dell’Onu, che era l’unico scampato e che aveva perso la gamba
destra dal ginocchio in giù.
Libano
1983. Fiona.
Il
giorno stesso venne a visitarlo il chirurgo che aveva compiuto
l’intervento, una svizzera di circa trentanni, bionda e snella. Con
poche parole gli descrisse l’intervento, la necessità dell'amputa
mento e scherzosamente gli chiese se per ricordo voleva la gamba
mancante, vale a dire quello che restava..
Lui
chiese se era possibile imbalsamarla, voleva sistemarla su di una
parete di casa a mo di trofeo, risero assieme alla macabra battuta.
La
donna ritornò più e più volte e non sempre per motivi
professionali. La notte, quando era di turno e se non c’erano
emergenze, lo sistemava su una sedia a rotelle e lo portava in
giardino a fumare e parlavano. Difficile dire cosa l’attraesse di
lui. Nacque qualcosa, qualcosa fra la simpatia reciproca e l’amore,
qualcosa che era più di una e meno dell’altro. In una di quelle
notti, tiepide e stellate, fecero l’amore... ma non c’era molta
“passione”, a lui sembrò più un atto di “compassione” da
parte di lei, la volontà di una donna caritatevole di traghettare un
uomo nuovamente alla vita, una trasfusione di linfa vitale, insomma
una specie di terapia. Lei stessa, donna algida com’era e abituata
a tutti i mali del mondo, usa a saturare piaghe e ferite senza più
partecipazione, si sorprese di questo suo attaccamento e di come
avesse preso a cuore la causa di quel giovane uomo senza più voglia
di vivere! Si meravigliò anche di quanto era disposta a fare. Lo
raggiungeva di notte e lo svegliava baciandolo, lo accarezzava fino a
provocargli un’erezione e lo masturbava. Da quel momento l’amore
lo fecero spesso, nella camerata mentre gli altri ricoverati
dormivano, in giardino con lei che sedeva sopra lui o nel disadorno
gabinetto medico sul lettino delle medicazioni. Appena lui fu in
grado di muoversi passava con lui le sue ore di libertà, andavano in
un luogo tranquillo, a volte nei boschi di cedri che allora erano
numerosi o in qualche località sul mare non toccata dalla guerra.
Parlavano molto.
Tempo
tre mesi e si ritrovarono sposati.
Lui
ventiquattrenne senza lavoro e senza una gamba e lei medico di
trent’anni, ricca di famiglia e sempre in giro per il mondo presa
dalla sua opera professionale e umanitaria.
Dimesso,
lo portò con se in Svizzera, nella sua casa sul lago di Neuchatel e
gli fece iniziare un periodo di riabilitazione e di presa di
confidenza con la sua nuova gamba che era un vero prodigio
tecnologico di duralluminio ricoperto di una pelle sintetica che
sembrava vera. Il fisico reagiva, in breve poté camminare senza
bastone pur zoppicando, ma il suo morale non si risollevava. Fiona,
questo era il nome della donna, chiese al padre, un ricco
immobiliarista con interessi anche nell’editoria, di trovargli
un’occupazione temporanea, qualcosa che potesse distoglierlo dalla
sua depressione e occupargli la mente.
Rivide
l’ufficio del vecchio e rivisse l’attesa, nuovamente provò il
medesimo malessere. Era un luogo a lui ostile, stava seduto sulla
vecchia e scomoda poltrona di pelle con la vecchia segretaria che lo
guardava con un’espressione di sufficienza. Era evidente che per
lei era solo un arrivista, un mantenuto, un altro dei capricci di
Fiona. Lui che reagiva con occhiate d’odio puro, mentalmente la
malediva, la insultava, le diceva che era vecchia, vecchia quanto i
pannelli di quercia che rivestivano il locale.
In
quello studio si aspirava l’odore aspro del denaro, di consuetudini
e di pensieri sempre eguali senza possibilità di cambiamenti, di
riti perpetuati all’infinito, lì si adorava il crudele dio denaro,
la divinità senza etica, era un suo tempio.
L’incontro
con il vecchio grasso e calvo che, man mano procedeva il colloquio
diventava sempre più indisponente ed odioso, era vestito di un
pesante abito con panciotto che già era un segno distintivo della
sua visione ortodossa della vita. Senza molta sensibilità, con un
sorrisetto malefico, gli chiedeva se almeno era riuscito a scattare
qualche foto in quel giorno dell’incidente. Lui che era tanto
depresso da neanche infiammarsi e reagire al commento irridente. Non
rispose alla provocazione. Poi la proposta e il suo accettare senza
titubanza alcuna. Tutto, tutto pur di ricominciare a vivere e
lasciare quella casa, la Svizzera e l’atmosfera soffocante,
ammuffita che impregnava tutto.
Fiona
era sempre lontana, in posti dal nome impronunciabile.
Il
lavoro non era poi male. Un reportage fotografico nei parchi naturali
del centro America, un tour da effettuare in compagnia e assistito da
un naturalista locale. Il compenso non era granché, anzi piuttosto
misero dato la taccagneria del vecchio e in realtà si trattava solo
di un rimborso spese, ma non gli importava poi molto. Gli avrebbe
dato l’occasione di tornare a lavorare, la fotografia era la sua
vita. Con l’incarico gli diedero l’attrezzatura. “In
prestito..”, specificò il vecchio e cioè da riportare indietro
sana e salva.
I
ricordi iniziarono a confondersi nella sua mente, perse il contatto
con se stesso proprio quando l’immagine della memoria si fermò
sull’incontro con lei all’aeroporto..
San
Josè. Settembre 2009.
Al
suo risveglio l’aereo era in fase d’atterraggio, dopo le
formalità d’ingresso si fece portare all’albergo dove aveva
prenotato una stanza e qui fece una telefonata, prese un appuntamento
con il suo contatto locale.
Tre
giorni dopo, in un bar dell’Avenida Central..
Il
suo interlocutore era un uomo enormemente grasso. Sotto le ascelle
della camicia aveva due larghi aloni di sudore, né il
condizionatore, né il ventilatore a pale sul soffitto che faceva il
rumore di un elicottero, riuscivano a rinfrescare adeguatamente
l’ambiente.
Fu
con un tono di trionfo che lo informò.
-L’ho
trovata.. mister! Visto? Non è stato facile ma l’ho trovata!-
-Dov’è?-
-Ho
avuto molte spese, claro che por usted no es problema, ma vorrei
essere sicuro del compenso convenuto..-
Sul
tavolo mise una busta, grande da documenti. Lui.. ne mise un'altra,
più piccola e gonfia di banconote.
-Sono
settimane che sto seguendo ogni minima traccia, da quando mi ha
conferito l’incarico. L’ho seguita passo passo, sono andato in
Nicaragua e in Panama seguendo tutti i suoi percorsi, tante spese,
mucho dinero..-
Fecero
lo scambio, le buste passarono di mano.
Il
grassone aspettò che esaminasse il contenuto, nel frattempo contò
il denaro.
Aprì
la busta, conteneva alcuni fogli e delle foto recenti. Si,
indubbiamente era lei. I vari fogli descrivevano il suo peregrinare,
dicevano dove era e cosa faceva, lesse con molta attenzione.
-Hai
fatto un buon lavoro..-
Il
grassone volle dargli l’ultimo avvertimento.
-Mister..
non voglio offendere la sensibilità di nessuno ma è una puta, una
puttana, voglio avvisarla di questo.-
-Dimmi
di quest’uomo..-
-Un
malo hombre.. un avanzo di galera, ladro, spacciatore, sfruttatore,
da prendere con le molle..-
-Voglio
ancora qualcosa da te. -
-Si..?-
-Un
passaporto.. per lei. Arrangiati.. trova delle foto simili e usa un
nome vero, non importa quale ma di una persona esistente, con i
documenti a corredo, certificato di nascita, diploma scolastico, il
libretto sanitario, insomma una fiaba vera e il passaporto senza
visti, capito? Quanto tempo ti serve?-
-Serviranno
due settimane o forse più. Devo trovare una donna che le assomiglia
per le foto, un nome e una storia che sia compatibile. Non sarà un
falso, sarà un passaporto regolare, dovrò ungere le persone giuste
al ministero..–
-Cautelati
che sia del tutto affidabile. Quanto..?-
-Diecimila
per il passaporto, forse di più.. dipende dalle spese.-
-Ecco
la metà, il resto ad affare concluso, non serve che ti dica cosa
faccio se mi freghi, vero?-
-Si
mister.. tranquillo..-
-Lasciami
un messaggio all’hotel quando sarà pronto il passaporto, solo.. un
ok, passo io a ritirarlo, chiaro? -
Raggiunse
zoppicando il suo albergo e nella stanza, disteso sul letto, guardò
a lungo le foto, lesse più volte le pagine che le accompagnavano,
poi telefonò alla reception, voleva una macchina con autista per la
mattina seguente.
Il
dolore era sempre più forte. Sia quello localizzato sulla gamba
mancante che quello nella testa, tolse la protesi, prese due capsule
di morfina e si annullò. Fu un sonno senza sogni fino a metà della
notte poi il cambiamento di fuso orario lo svegliò del tutto, non
mangiava dal giorno precedente ma non aveva fame, accese il bollitore
del caffè istantaneo, riprese a guardare le foto.
Era
buio fuori ma la vita delle formiche umane non sembrava avere sosta,
ma c’era gente che non riposava mai? O si alternavano in questa
frenetica giostra?
Pensò
alla sua vanità. Alla folle vanità che lo aveva portato a chiedersi
cosa potesse esserci di peggio rispetto al già vissuto, senza
rendersi conto che porsi tale problema è un insulto al destino, il
quale come sempre punisce duramente.
Si
fermò a lungo sotto la doccia, alternando l’acqua calda e fredda.
Poi si rasò accuratamente. Quello che lo specchio rifletteva era un
uomo di cinquantanni, un viso normale anche se segnato dalla
stanchezza, quello che non diceva era che rifletteva un uomo che
stava per morire.
Mancavano
ancora alcune ore alla partenza. Doveva fare ordine nel suo cervello.
Vivere in anticipo l’incontro, scegliere le parole per convincerla.
Non voleva nessun tipo di perdono dato che neppure lui se lo
concedeva, voleva solo porre rimedio per quanto possibile.
All’ora
della partenza era già nella hall. Pregò l’autista di aspettarlo
e nel vicino mercato locale comprò un bastone, ora.. a volte aveva
necessità di sostenere la gamba mutilata. Scelse un grosso e pesante
bastone da passeggio di legno tropicale.
In
macchina l’autista chiese..
-Dove..
?- Señor..?—
-Portami
a Carthago.. poi ti dirò..-
Voleva
rivedere la casa.
Carthago
2009.
La
casa esisteva ancora, ma naturalmente ora era abitata da altre
persone. Le finestre, abbellite da tende multicolori a lui sembrarono
degli occhi senza vita. Fermo davanti all’ingresso, all’inizio
del vialetto, entrò con l’immaginazione nella casa, dall’ingresso
passò nel soggiorno, poi nella stanza dove allora lui dormiva e poi
ancora in quella di lei, gli sembrò di sentire ancora il suo profumo
e il suono argentino della sua risata.
A
fatica lasciò il luogo, si fece portare alla cattedrale. Qui.. lui
ateo e peccatore, non chiese alla “Negrita”, la Madonna Nera, di
fare un miracolo.. di guarirlo, ma le chiese di poter diventare il
nuovo agnello sacrificale, di potersi caricare parte del male del
mondo su di se, di poter essere utile almeno ad una parte
dell’umanità. Gli sembrò che la Negrita muovesse le labbra e che
rispondesse un no. Passò il resto della giornata nella valle di
Orosi, rivisse il tempo passato rivedendo i posti dove erano stati
felici.
A
sera tornò in albergo.
Sul
letto lasciò nuovamente libero il pensiero di tornare a quel tempo
mentre il dolore tornava implacabile e puntuale. Prese gli
antidolorifici.
Manuelita..
1984.
Lei,
assieme al fratello vennero a prenderlo all’aeroporto, lui.. il
naturalista, era sulla trentina, bruno e simpatico, lei aveva
diciotto anni, carina, snella.. bruna quanto il fratello. Nacque fra
loro subito un’intesa, una simpatia spontanea. Era tempo di vacanza
nel paese e lei, studentessa appena diplomata, chiese se le era
possibile aggregarsi alla spedizione. Parlarono a grandi linee dei
programmi futuri di lavoro e accettò subito la proposta di
sistemarsi a casa loro per organizzarsi meglio. Non avevano genitori
i due fratelli, erano soli al mondo come lui. Iniziarono così i
lunghi viaggi in fuoristrada, la permanenza a volte di settimane nei
parchi, alloggiati nei lodge o in tende da bivacco. Le lunghe attese
spossanti per il caldo e gli insetti per vedere e fotografare animali
rari e interessanti. Cominciarono dal parco nacional Santa Rosa, sul
golfo di Papagayo, luogo dall’interessante presenza d’alberi
rarissimi e da una fauna particolare, poi.. il monumento nacional
Guayabo, parco archelogico e ancora il parque nacional Rincon de la
Vieja e via verso il sud, il Chirripo e il Corcovado. Usò una vera
montagna di pellicole che conservava in un frigo da campo, con
l’intento di svilupparle e catalogarle in un secondo tempo. Durante
le lunghe serate tropicali, mentre discutevano stanchi sul programma
da seguire l’indomani, gli capitò di innamorarsi. Si accorse che
gli piaceva tutto di lei, la sua voce, come si muoveva, il bel
personale e il sorriso. Presto capì che anche lui aveva fatto
breccia nel cuore di lei.. e capitò.
Un
bacio, il primo bacio e gli parve di non aver mai baciato nessuna
prima.
Un
bacio.. e un altro e poi naturale come lo scorrere del tempo fecero
l’amore.
A volte la sera, prima che il frinire delle mille
cicale e i versi degli uccelli tropicali precedessero di un attimo la
calata subitanea delle tenebre, raggiungevano il mare e si
rinfrescavano nelle sue fresche acque. Di solito lui, per un
comprensibile senso di riserbo, teneva coperta la protesi, ma quella
sera.. la loro prima volta.. erano soli, il fratello lontano e si
comportarono come se fossero gli ultimi sopravvissuti al mondo. Si
spogliarono con frenesia e si abbracciarono. Le loro mani
percorrevano il corpo della persona amata per poterne conoscere ogni
minimo particolare. Lei osservò con curiosità la gamba amputata e
la protesi e accettò la cosa senza riserva. I baci diventarono
sempre più passionali e lui la fece sua, con pazienza, dolcezza e
infinito amore. Lo fecero sul bagnasciuga mentre l’acqua delle onde
a volte li ricopriva di una schiuma salata. Lui era il suo primo uomo
e lei si donò con tutto l’ardore, la sua passione, con tutta se
stessa. Continuarono per tutta la notte nella stanza della locanda
dove alloggiavano, con il rumore della risacca che faceva da
sottofondo e la brezza marina che entrava dalle finestre aperte e
muoveva le tende. Da quel momento lo fecero spesso, pazzamente,
approfittando d’ogni occasione possibile. Giorno e notte. Nelle
fincas dove dormivano, all’aperto e naturalmente nella casa di
Carthago quando vi si trovavano.
Disse
al fratello che voleva sposarla, che Manuelita era la donna della sua
vita, solo che dimenticò volontariamente di precisare che sposato
già lo era. Non lo disse allora, non lo disse subito e poi.. un solo
attimo dopo era troppo tardi per dirlo.
Fu
allora che scoprì con suo dispiacere che dentro di lui conviveva un
altro se stesso, un mentitore e la cosa gli causò malessere. Per
egoismo relegava quella parte infida al di fuori di sé come se non
esistesse. Si giustificava.. sosteneva con se stesso che ora era
felice e che non voleva rinunciare a quanto aveva. Voleva vivere
quella vita e niente d’altro. Si nascondeva i problemi e le
difficoltà.
A
scadenza più o meno regolare si faceva vivo con Fiona, si sentivano
per telefono, a lei non aveva mai detto “ ti amo” e si accorse
quanto gli era facile mentirle, rimandava di volta in volta il
ritorno in Europa.
Furono
settimane e mesi di felicità. Ora.. mentre li ricordava.. pensava a
come sarebbe stato facile allora trasformare i momenti in una
continuità. Bastava che allora si decidesse ad abbandonare il suo
passato per la nuova vita. Non lo fece.
Per
un seguito d'accadimenti imprevisti, non voluti, il suo ritorno in
Europa divenne una necessità improrogabile e lui lo fece con il
proponimento di un rapido rientro, la convinzione di poter provvedere
velocemente alla separazione e al successivo divorzio da Fiona.
Poi
la lettera di lei.. felice.. era in attesa, aspettava un suo bambino.
Lui
voleva tornare! Lo voleva! Ma ora c’era sempre qualcosa che lo
tratteneva, il lavoro con i negativi delle foto scattate, la scelta
delle stesse per il servizio, un impegno e poi ancora un altro.
Rimandava ogni volta. Non si rendeva conto che le aveva promesso una
vita di sogno e colpevolmente invece le riservò una tragedia.
Infine
ritornò ma era ormai troppo tardi, tutto era già successo. Lei era
morta assieme al fratello in un incidente, la bambina data in
adozione. Sentì il vento freddo della morte accarezzarlo e fuggì.
Non penso alla piccola.
Europa
1985-2009.
Ritornò
definitivamente in Europa e rimosse con il tempo quanto accaduto.
Lo
relegò insieme alle rinunce, alle delusioni, ai sogni infranti e ai
fatti che non voleva più ricordare, mise tutto in quell’angolo
buio del cervello che ha questa funzione.
Fiona
a quel tempo intervenne duramente con il padre, gli ricordò che lei
era un’azionista importante della società e ottenne per lui un
incarico presso una rivista d’attualità. Riprese a fotografare,
non più servizi di guerra ora ma un po’ di tutto: belle donne,
vestiti, oggetti, viaggi, musei.. si specializzò in inchieste su
criminalità e malapolitica e si lasciò travolgere dal superfluo,
dall’effimero, dalla sua libidine che ormai agiva da oppio per
ottenebrargli i pensieri e ai trasformava in bramosia di nuove
sensazioni, sempre più forti. Gli piaceva il sesso, gli piaceva
apparire e le donne ormai erano meteore, apparivano, luccicavano un
attimo e sparivano. Cadeva sempre più in basso.. frequentava gente
equivoca, diventò amico di personaggi pericolosi che vivevano al
margine della società, esponenti della malavita.
Non
s’innamorò mai più.
Passavano
gli anni e ogni tanto rigurgitava fuori dall’angolo buio del
cervello il ricordo di lei, lui cercava di giustificarsi per poi
capitolare sotto il peso dei rimorsi e si colpevolizzava senza pietà.
In quelle crisi di coscienza sempre più profonde cercava di
ributtare a forza tutto nel dimenticatoio. A volte non gli era tanto
facile e si stordiva usando sesso, droga e alcol, si assentava dal
contatto con la vita per giorni. Si estraniava cercando un rifugio e
si nascondeva come un animale braccato.
Fiona
era un punto fermo, non seppe mai di Manuelita, credeva che il suo
disagio mentale dipendesse dal suo modo di vivere. Il loro rapporto
era questo, non si amavano ma inspiegabilmente restavano uniti.
Europa.
Anno 2009..
L’annuncio
della fine e il suo riscoprirsi.
Il
morire per rivivere, i fatti legati fra loro come anelli di una
catena.
Tutto
da accadere in un breve periodo temporale.
La
morte per infarto del vecchio, deceduto alla sua scrivania come un
soldato in trincea, sempre vigile, eterna sentinella, sempre convinto
di dover difendere il suo mondo, sbagliato, da chissà quale
pericolo.
Il
funerale. Fiona vestita a lutto e diventata vecchia nel rincorrere e
cercare di sanare il male del mondo.
Fiona
che muore, lì a pochi mesi, precipitando con un aereo della Croce
Rossa.
Ora
è solo ed è malato. Ha ereditato i beni di Fiona. Ripensa alla sua
vita e decide il suo futuro.
Fa
alcune telefonate a persone che gli devono un favore, tempo pochi
giorni ed ottiene un numero telefonico, da l’incarico di svolgere
una ricerca.
San
Jose.. 2009.
La
mattina successiva lasciò l’albergo mettendo in deposito i suoi
bagagli, aveva con se solo una borsa con il minimo necessario, si
fece portare all’aeroporto dove noleggiò un volo privato.
Il
piccolo velivolo sorvolò buona parte del paese nel suo viaggio verso
nord. Lui osservava con interesse il continuo cambiamento di
scenario, si ricordò dei suoi viaggi. A sera era a destinazione.
Upala..
al confine con il Nicaragua. 2009.
Per
quanto fosse impaziente di incontrarla, evitò di farlo quella sera
stessa, cercò alloggio in un motel sulla carretera nacional, appena
oltre l’aeroporto locale.
Dormì
tutta la notte anestetizzato dagli antidolorifici.
La
mattina successiva era in centro, passò alcune ore come un normale
turista ad esaminare i dintorni del locale che lo interessava, quello
dove lei lavorava. Le varie strade del centro, secondo lo schema
classico coloniale, s’intersecavano ad angolo retto, i palazzi e
residenze del periodo spagnolo erano in disfacimento, mostravano i
segni devastanti del tempo.
Si
sedette al tavolo di un bar e attese la sera. Con la caduta del buio
e con l’accensione delle luci la cittadina prese vita, le strade si
riempirono di gente chiassosa e nel fresco gli abitanti scesero in
piazza per il passeggio serale.
Lui
aspettò ancora. Quando infine si decise ad entrare nel locale c’era
diversa gente, in massima parte uomini in compagnia di ragazze che
dimostravano con il loro atteggiamento che tipo di locale era.. un
bordello.
Trovo
posto al bancone.
Upala
2009. Mercedes.
Al
barman ordinò..
-Coronas..-
Fu
servito e lui domandò..
-Non
vedo Mercedes.. verrà stasera..?-
-Certamente..
a minuti sarà qui.. –
La
vide entrare da una porta che probabilmente portava all’ufficio,
attese che si avvicinasse e le fece un cenno.
Era
lei! Ancora più bella di come l’aveva immaginata guardando le sue
foto. Stessi capelli, carnagione, occhi e una figura molto sensuale,
più rotonda nei punti giusti, più seno, più sedere.
-Mercedes..
vero? Posso offrirti da bere..?-
-Certo
che puoi..-
Lei
si rivolse al barman e ordinò un pisco sour.
-Che
stai cercando.. uomo?-
-Compagnia..
che altro? La compagnia di una bella donna..-
-Qui
la puoi trovare, ti chiamo una delle mie sorelline? Sono molto
graziose e sanno tanti giochini che ti piaceranno..-
-Tu..
non sei disponibile? -
-Io?
Mi spiace.. sono merce pregiata e sono proprietà privata. Non sono
un boccone per tutti i palati, spiacente davvero tesoro.. ma non te
gusta quella chica laggiù? Muy caliente..-
-Peccato.
Comunque potresti dire al tuo.. padrone.. quanto potrei essere
generoso? Diciamo trecento per lui.. e per te altri trecento che non
gli diciamo che ti do e che puoi intascarti senza che lui sappia? E
dai.. seicento dollari sonanti per una notte non è poco..-
-Trecento
dollari? Non credo che il mio uomo accetti..-
-Cinquecento
e cinquecento per te?-
-Mille
dollari? Che c’è sotto.. uomo? Per quanto ne so.. non c’è donna
qui che valga tanto.. neppure io..-
-Facciamo
che sono pazzo di te? Sono un ricco gringo loco. Nulla di più di
quanto ti ho chiesto, mille dollari per una notte da ora a domattina,
su.. vai a chiedere al tuo padrone..-
Il
valore del denaro!
E’
davvero la chiave che può aprire tutte le porte!
Mercedes
gli diede un’ultima occhiata perplessa mentre prendeva quella porta
dalla quale era uscita poco prima. Ne uscì poco dopo in compagnia di
un uomo, bruno e snello, vestito come se stesse interpretando un film
americano di gangster, mentre si avvicinava lo squadrò e lui cercò
di assumere un atteggiamento innocuo, inoffensivo.
-Mercedes
mi ha detto che sei disposto a pagare 500 dollari per la sua
compagnia.. ma sei sicuro di averli? Fammi vedere il colore dei tuoi
soldi..-
Mostrò
i cinque biglietti da cento dollari. Li aprì a ventaglio.
-Muy
bien.. ma Mercedes non esce da qui. Lo farete nella sua stanza al
piano di sopra e sgombri all’ora di chiusura.. claro? Dammi il
dinero..-
Segui
Mercedes e salirono al piano superiore, entrarono in una stanza che
sapeva di lei, c’era il suo profumo..
-Dammi
il mio denaro.. quello che mi hai promesso.-
Le
diede il denaro e lei lo nascose.
-Preferenze..
uomo? Per mille dollari devo darti tutto quello che vuoi, bocca..
fica e magari vuoi anche il mio culo?-
Iniziò
a spogliarsi ma lui la fermò con un gesto..
-Aspetta..
voglio parlare..-
-Lo
sapevo che c’era qualcosa di strano! Lo sentivo a pelle! Attento
che con un grido faccio accorrere tutto il locale! Io non voglio
parlare.. se vuoi fottere bene! Se non vuoi.. te ne vai! E non ti
ridò il denaro.-
-Ascolta..
sono tuo padre..-
-Mio
padre? Non ho padre.. io! Ah.. capito! Vuoi giocare.. vuoi che faccia
la parte di tua figlia e tu quella del padre sporcaccione e
incestuoso? Va bene.. posso farlo.. paparino! Cosa non si deve fare
in questo mestiere!-
-Sono
tuo padre davvero.. ho amato tua madre, Manuelita.. eravamo
innamorati e abbiamo concepito te, poi per mia colpa lei è rimasta
sola ed è morta dopo che ti ha messo alla luce, credimi.. che scopo
avrei a dirti queste cose? Se non a voler rimediare a quanto fatto?
Vengo dall’Europa per poterlo fare..-
Mercedes
prese a camminare per la stanza alzando le braccia sopra di se.
-Bastardo..
bastardo.. ma che stai farneticando? Non ho padre, ho vissuto una
vita di merda! Anche se tu lo fossi veramente e non ci credo, chi lo
vuole un padre? Ho passato la mia vita da una famiglia adottiva ad
un’altra, lo sai che mi hanno violentata da bambina? Sfruttata?
Utilizzata come serva e puttana? Bastardo.. e perché ora? E non
prima?-
-Sono
colpevole d’ogni cosa che dici ma sto morendo, ho pochi mesi di
vita e per quanto posso voglio rimediare.. lasciamelo fare, odiami..
maledicimi..! Ma lasciamelo fare.. forse morirò meno infelice di
quanto sono..-
-Perché
ora? E non prima?! Ora sono una puttana e resterò per sempre una
puttana! Perché ora? Non potevi venire prima che profondassi in
quest’orrore?-
Il
loro discutere durò buona parte della notte, Mercedes che si
ribellava all’idea di avere un padre e lui che cercava di
convincerla. Mercedes arrivò a colpirlo ripetutamente sul viso
ingiuriandolo pesantemente e lui accettò il fatto, subì le percosse
e le offese senza reagire, infine lei scoppiò in un pianto a
dirotto, i singulti le scuotevano il corpo. Solo allora si lasciò
avvicinare. Lui le prese le mani e la fece sedere sul letto, le si
mise accanto, l’abbracciò passandole un braccio sulle spalle e
prese a raccontarle cosa intendeva fare. Voleva che lei risorgesse a
nuova vita, che lasciasse dietro di se quello che aveva vissuto fino
ad ora.. s’incaricava lui di tutto.
-Lui
non non mi lascerà mai andare via, pensa che io sia un suo oggetto,
una sua proprietà..-
-Ci
provo.. mi offro di comprarti, ma tu lo ami? E’ il tuo uomo..-
-Forse
una volta.. all’inizio ma ora non più, mi ha comprato pure lui
come un oggetto, all’inizio era gentile con me.. ma ora cerca
ragazze più giovani, io per lui sono già vecchia ho già
ventiquattro anni, troppi in questo ambiente dove iniziano a tredici,
quattordici anni, mi tratta male, no.. non lo amo, lo odio!-
-Pensi
che accetterà di cederti..?-
-Dipende
dalla cifra.. forse si se è abbastanza elevata.. forse accetterà
per cercare di fregarti subito dopo aver preso i soldi.. perché sei
un gringo.. perché fondamentalmente è disonesto..-
-O
lo fa.. o l’uccido. Non credo ci sia alternativa. Non voglio
spargere il sangue di nessuno ma se è necessario.. lo faccio. Tu
vuoi abbandonare questa vita? Sarai ricca sai..? Ho dei progetti per
te, sarai la mia unica erede, potrai vivere dove vorrai e come
vorrai, nessuno saprà mai cosa hai vissuto, dovrai essere tu a voler
dimenticare e dimenticare anche me, che ti ho tradito alla nascita.-
-Cosa
intendi fare..? Lui è violento e infido.. devi stare attento..-
-Ora
aspettiamo.. facciamo passare il tempo come se scopassimo davvero.
Torno domani e ti richiedo e poi cerco di sistemare questa cosa a
modo mio. Tu devi essere d’accordo su tutto quello che farò, deve
lasciarti andare o l’uccido. Ma questo non deve saperlo, vediamo
prima come reagisce, nessuna minaccia quindi. Poi torniamo a San
Josè, ti ho già procurato il tuo nuovo passaporto.. e dopo nuova
vita. Sarai ricca e libera. Non sappiamo neanche come ti chiamerai.
Sarai una nuova Araba Fenix.. rinascerai dalle tue ceneri.–
All’ora
di chiusura lasciò la stanza di Mercedes e tornò al suo motel.
Avevano parlato per tutto il tempo, parlato di tutto. La sera
successiva tornò e nuovamente la richiese. Nuovamente pagò i
cinquecento dollari. Non vedeva l’ora di rivederla, ora ogni attimo
che le stava distante era un tormento. Molto più tardi scese e bussò
alla porta dell’ufficio.
Il
magnaccia era seduto ad una scrivania e nascose subito i soldi che
stava contando.
-Sei
tu? Che vuoi? Mercedes non fa la brava bambina? Non accetto richieste
di rimborso..-
-Voglio
proporti un affare.. un affare che non potrai non accettare..-
-Cosa..?
Che roba tratti tu? Che vendi..?-
-Non
vendo.. io compro. Io compro e tu vendi. Voglio Mercedes..-
-Mercedes
è la mia donna.. non è affatto in vendita. Mi rende bene.. io non
vendo le mie donne.-
-Trattiamo?
Fai un prezzo e vediamo..-
Ah..
quel suo sguardo! “Sei un uomo infido.. ti sei tradito”.. pensò,
quello sguardo lo condannò.
-Cinquantamila..-
-No..
la metà. Venticinquemila..-
Non
voleva certo far oggetto di mercato la figlia ritrovata, ma doveva
tenere banco, mostrarsi testardo e poi arrendevole il giusto. Seguitò
il gioco. Del domanda e dell’offerta.
-Quarantamila..-
-Trentacinquemila..
è la mia ultima offerta..-
L’uomo
accettò troppo presto e così confermò la sua intenzione di farsi
pagare per poi.. chissà? Magari farlo scomparire in qualche fossa
fuori città. Presero accordi per lo scambio da lì a tre giorni, lui
doveva tornava a San Jose per procurarsi il denaro.
Risalì
da Mercedes.
-Dovrò
ucciderlo.. Mercedes, ha accettato di cederti ma ha l’intenzione di
prendere i soldi ed eliminarmi o comunque non terrà fede alla parola
data.. dovrò farlo..-
-Non
voglio che rischi per me. Ho bisogno di saperti vicino ora. Non posso
concepire il mio futuro senza te.-
-Va
tutto bene. Risolvo tutto.. fidati..-
La
notte stessa telefonò a San Jose. Dopo poche ore di sonno affittò
un aereo per un volo per la capitale, trovò il grassone al solito
bar.
San
Jose 2009.
-Voglio
un revolver 38 special. Vecchio.. non nuovo, provvedi tu a cancellare
il numero di matricola con l’acido, sostituisci la canna e il
percussore con degli altri nuovi, inoltre mi procuri un silenziatore
e una scatola di cartucce. E li voglio.. per ieri.. cioè subito.. a
qualsiasi prezzo.. mi hai capito?-
-Mi
servono un paio di giorni.. duemila dollari..-
-Appena
l’hai chiamami in camera..-
Passò
i due giorni a pensare a Mercedes. Rivedeva pienamente in lei
Manuelita, aveva i suoi capelli, gli stessi occhi, la stessa bocca.
Gli pareva di poterla far rivivere in lei. Era quello che desiderava
di più al mondo.. rivivere la sensazione della sua vicinanza.
Il
terzo giorno il grassone lo chiamò in camera e fecero lo scambio nel
gabinetto dell’hotel stesso. Volle provare il revolver e il
grassone lo portò con la sua macchina appena fuori città. Dopo
l’accompagnò all’aeroporto, a sera era di nuovo a Upala.
Upala
2009.
Nel
frattempo Mercedes ebbe un colloquio piuttosto vivace con il suo
uomo, questi la maltrattò un po’, qualche schiaffo giusto per
ammorbidirle la volontà, le chiese dello straniero, di cosa
desiderasse veramente e chi era, lei rispose che era uno strano e si
era messo in testa di sposarla. Mentì su tutto, finse anche una
specie di piacere mentre lui la piegava e la possedeva con violenza
per dimostrarle che era cosa sua, mentre usciva le disse che voleva i
soldi del contratto e che poi lo straniero sarebbe sparito. La
prossima volta doveva dirgli addio, salutarlo per sempre.
Upala
2009. Il protettore.
Ora
il dolore era subdolo, mentre prima tornava con una certa puntualità
ed era perciò prevedibile adesso lo colpiva all’improvviso con
fitte lancinanti. Prese allora la decisione di prendere
sistematicamente gli antidolorifici e non al momento del bisogno, ma
era permanentemente annebbiato. La sera del suo ritorno ad Upala era
nuovamente nel locale. Salì con lei nella sua camera e parlarono a
lungo. Le spiegò con cura cosa doveva fare e discese solo quando fu
certo che avesse capito perfettamente.
Si
guardò intorno e certo di non essere visto entrò nell’ufficio, fu
accolto da una domanda.
-Hai
i soldi..?-
-Certo..
possiamo fare lo scambio..-
Levò
il revolver munito di silenziatore di tasca e glielo puntò alla
faccia.
-Sei
uno sciocco.. ti sei lasciato prendere dall’avidità, non sai che è
una debolezza?-
-Che
fai? Tu sei pazzo.. –
-Fai
una cosa.. se non accetti ti uccido, nessuno sentirà lo sparo.
Prendi carta e penna..-
-Scrivi
sul foglio che hai davanti.. scrivi bene.. scrivi questo.. mi sto
vendendo, vendo la mia anima per trentacinquemila dollari.. devi
scrivere questa frase, queste parole.. firma.-
Osservò
mentre scriveva.. era mancino.
-Firmala..
firma quel foglio. Chissà perché ti sei ritenuto furbo e in grado
di fregarmi, eppure ti avevo avvisato prima che non ammettevo un
rifiuto e fregature. Non voglio complicazioni, mi spiace per te..-
Gli
si avvicinò e gli si pose alla sua sinistra, rapidamente gli
appoggiò il revolver alla tempia e premette il grilletto, si sentì
solo il colpo ammortizzato dal silenziatore, l’impatto con il
proiettile gettò a terra l’uomo che quando raggiunse il pavimento
era già morto. Pulì l’arma e poi gliela mise nella mano sinistra
e usando la sua mano inerte sparò nuovamente verso la parete
premendo il grilletto affinché le particelle di polvere da sparo gli
si disperdessero sulla pelle. Tolse e si mise in tasta il
silenziatore.
Ecco..
allestita la scena perfetta di un suicidio, il colpo alla tempia e lo
scritto, ambiguo ma sufficiente a simulare un valido motivo. Voleva
lasciare sul tavolo la somma pattuita ma tanto sarebbe stata
prelevata dalla polizia ed era uno spreco. Cercò e trovò
un’automatica nei cassetti della scrivania, la prese con se, perché
far sorgere dubbi sul fatto che non avesse usato la sua arma per
uccidersi?
Tornò
nel locale, nessuno fece caso a lui, risalì da lei.
-Sei
libera.. siamo liberi Mercedes..–
Le
raccontò cosa era successo e che era stato obbligato a farlo.
Mercedes si sentì finalmente libera. Lei, come la Fenice poteva
rinascere dalle sue ceneri e riprendere il volo dimenticando il
passato e vivere ora con nuove aspettative.
La
lasciò e ritornò al suo motel. Il giorno successivo gli abitanti
della cittadina non parlavano d’altro che del suicidio avvenuto, ma
nessuno rimpiangeva veramente il morto. Mercedes aveva lasciato la
sua stanza sopra il locale e aveva preso alloggio in un albergo.
Le
chiese di lasciare tutto dietro di se. Ogni cosa. Volarono a San Josè
separatamente, lei aveva con se solo il minimo necessario, niente
bagagli. Prese alloggio nel residence indicatole mentre lui tornò al
suo albergo in attesa del nuovo passaporto che il grassone doveva
fornire. Ogni giorno passavano molte ore assieme.. e ogni minuto in
sua presenza gli riempiva il cuore di felicità, rivedeva in lei
Manuelita, in ogni suo gesto e nel suo sorriso luminoso.
Una
settimana dopo telefonò il grassone. Aveva il passaporto ma c’erano
delle complicazioni, delle spiacevoli novità, visto quanto era
successo ad Upala ora il passaporto valeva più soldi di quanto
concordato.. molto di più. Si misero d’accordo per incontrarsi il
giorno dopo davanti al palazzo della Posta, avrebbero fatto lo
scambio nella macchina. Quando..? A che ora? Chiese il grassone. Il
tempo di procurarmi i soldi.. rispose lui.. lo tiene in una cassetta
di sicurezza del banco Central. Ritirava il denaro e poi potevano
incontrarsi alle sei? L’indomani nel primo pomeriggio si recò in
centro città, lasciò sola Mercedes e prima di entrare in banca
comprò in un negozio una valigetta ventiquattrore, in un altro
negozio.. una drogheria, comprò delle bottiglie contenenti alcol
denaturato 90° gradi, altamente infiammabile e della benzina avio,
mise le bottiglie nella valigetta. Si recò in banca e ne uscì dopo
una mezz’ora abbondante, una semplice precauzione nel caso fosse
seguito. Nell’attesa dell’appuntamento si riparò nell’aria
condizionata del Bar Central. All’ora convenuta aspettò il
grassone davanti al palazzo delle Poste.
San
Josè.. 2009. Il grassone.
Il
grassone passò a prenderlo poco dopo. Lui salì nella macchina, gi
disse di andare fuori città in un posto isolato per lo scambio. Il
grassone gli chiese se avesse il denaro e lui mostrò la valigetta.
Non sapeva se lo aveva seguito né le sue vere intenzioni oltre a
quelle di ricattarlo ma doveva anticiparne le mosse. Appena fuori
città levò l’automatica presa ad Upala che era appartenuta al
protettore di Mercedes e gliela mostrò, la tenne puntata verso lui.
Il
grassone prese a sudare ancora più copiosamente, ora lo pregava
piagnucolando, il passaporto glielo avrebbe dato senza sovrapprezzo,
ma ormai il suo destino era segnato. Gli ordinò di dirigersi verso
Alaujela, poco prima della cittadina gli indicò una strada che
s’immetteva nella rada boscaglia, lo fece fermare.
Gli
intimò di dargli il passaporto e i documenti allegati e senza fare
mosse azzardate se non voleva morire subito, alla magra luce
dell’abitacolo lo esaminò superficialmente, rimandò a più tardi
un esame più accurato, se lo mise in tasca.
Gli
ordinò di scendere e di mettersi in ginocchio. Ora il dilemma..
l’avrebbe lasciato qui passando sopra al tentativo di ricatto? Con
il solo castigo di dover farsi a piedi la strada fino alla città?
Questo gli sarebbe bastato come lezione? Il grassone ora pregava.. lo
scongiurava di lasciarlo vivere, prometteva mari e monti. Lui non lo
ascoltava, pensava a quanto gli esosi diventano sciocchi e ingenui
all’estremo e probabilmente sono tanto stupidi che non imparano
mai. Gli chiese chi altri sapesse del passaporto, solo il funzionario
che lo aveva rilasciato ma non sapeva altro, rispose il grassone. Ora
doveva garantire a Mercedes il futuro, non esisteva una altra
alternativa e sparò. i proiettili esplosi in rapida successione
colpirono al nuca il grassone che cadde pesantemente a terra senza
vita. Gli sparò nuovamente in corrispondenza della bocca per
distruggere eventuali lavori dentari che potessero portare alla sua
identificazione. Lo perquisì quindi accuratamente, scoprì che
teneva una piccola automatica calibro 22 in una fondina alla
caviglia, la prese con se come anche il portafogli e l’anello che
portava al dito. Controllò nuovamente e lo cosparse abbondantemente
di alcol, di benzina avio e diede fuoco, rimise i contenitori nella
valigetta. Mentre il corpo bruciava si allontanò con la sua
macchina. Il suo programma iniziale era di far esplodere anche la
vettura ma cambiò idea, buttò in un canale le pistole, il
portafogli e l’anello, ritornò in città e parcheggiò in una
strada periferica. Pulì accuratamente ogni parte che poteva aver
toccato. Gettò la valigetta e i contenitori nell’immondizia. Non
aveva rimorso alcuno, ucciderlo era una forma di difesa. Il grassone,
fornendogli l’arma e sapendo dell’uomo di Upala, con un semplice
ragionamento era arrivato a capire cosa era veramente successo, li
avrebbe ricattati. Non poteva permetterlo, doveva garantire Mercedes
e il suo futuro. Ucciderlo era stato un passo obbligato.
Poco
distante fermò un taxi e si fece condurre in centro, raggiunse a
piedi il suo albergo. Di quanto accaduto non disse mai nulla a
Mercedes, il fardello ulteriore doveva portarlo lui. Esaminò con
cura il passaporto che non lo convinse completamente e decise che lo
avrebbero usato con molta cautela, lasciarono il paese via terra
dove i controlli erano più superficiali che in aeroporto.
2009.
Panama City – Una villa sul mare a Isla Flamenco.
Era
stato tutto programmato da tempo.
Si
sposarono all’ambasciata svizzera di Panama City. Era un matrimonio
di facciata ma formalmente valido. Lo aveva preferito al
riconoscimento di paternità o a un provvedimento d’adozione. Fece
un testamento nel quale lasciava ogni suo bene a Mercedes che aveva
ora la nuova identità. Con il matrimonio lei acquisì il diritto di
chiedere la cittadinanza e un passaporto svizzero. Le relative
domande furono inoltrare con procedura d’urgenza e lui mise in moto
le sue conoscenze per favorirne la concessione. Le ricordò che
doveva aspettare lì... a Panama il nuovo passaporto, il vecchio non
avrebbe dovuto mai utilizzarlo o solo per le banche e le
registrazioni in albergo.
I
loro giorni li trascorrevano assieme, perennemente. Poco dopo
l’arrivo e nonostante la villa contasse diverse stanze, presero
l’abitudine di dormire nello stesso letto. Il motivo era quello di
poter parlare e raccontarsi a lungo, a volte fino a notte inoltrata.
Insomma volevano viversi pienamente per il poco tempo che restava. Le
raccontava di Manuelita, di sua madre e Mercedes ascoltava rapita.
Aveva facilmente dimenticato la vita fatta fino a poche settimane
prima. Non voleva credere che l’uomo che era suo padre e che le
aveva cambiato la vita potesse morire entro pochi mesi, lo riteneva
una crudeltà del destino.
Una
notte.. erano a fianco a fianco sul letto, lui, vedendo il chiarore
della luna che entrava dalla portafinestra aperta, ritornò con la
mente alle notti passate con Manuelita in quella locanda sul mare.
Mercedes.. lo guardava e ascoltava. Presa da un trasporto di
tenerezza volle baciarlo, non voleva essere null’altro che un bacio
di partecipazione ma divenne ben altro. Nessuno dei due voleva che
succedesse quanto successe. Le bocche s’incontrarono e divenne loro
impossibile staccarle. La partecipazione di lei ora era di vera
passione, passione vera e non compassione, presto i corpi furono nudi
e assetati di sensazioni, di voglia conoscersi carnalmente, di
saziarsi, di impregnarsi dell’odore e del sapore del corpo di chi
abbracciava. Successe.. e fu una cosa meravigliosa fare l’amore.
Dopo..
lui disse.. che non sarebbe dovuto succedere. Lei ribadì non aveva
nessun tipo di rimpianto. Lo avevano voluto ambedue. Era successo e
che per quanto la riguardava lo avrebbe rifatto. Mercedes voleva
usare la sua forza e la giovinezza come un elisir da trasferirgli, un
elisir di lunga vita. Fecero l’amore diverse volte nei giorni
seguenti, che divennero settimane. Sembrava che l’amore potesse
fare il miracolo finché in una una giornata disgraziata lui non
perse i sensi.
La
malattia aveva vinto sull’amore.
Quello
stesso giorno, quando lui riprese i sensi, le disse che l’amava...
che amava Manuelita e Mercedes nella sua stessa persona. Lei pianse
di commozione.
Da
quel momento deperì rapidamente giorno per giorno. Era ormai
evidente che la malattia che lo minava non gli avrebbe lasciato molto
tempo da vivere. Il suo aspetto era macilento e il dover
continuamente ricorrere a farmaci sempre più forti per vincere il
dolore lo stordiva. Dormiva per buona parte del giorno.
Mercedes
era cambiata, la sua vita precedente l’aveva resa arida ma ora
aveva preso ad amare, aveva riscoperto sentimenti di partecipazione e
di carità che non sapeva di possedere, soffriva nel vederlo
consumare come una candela accesa.
Panama
2009. L’ultimo giorno.
-Mercedes..
è arrivato il mio momento. Continuare così non mi va, mi vedo
ridotto ad un vegetale e non lo sopporto. Voglio morire a modo mio,
morire come sempre mi sarebbe piaciuto. Mi aiuterai? Non piangere e
non soffrire per me, il mio morire è come un rinascere, ho potuto
ritrovare te e con te rivivere Manuelita.-
Il
pomeriggio raggiunsero la spiaggia che fronteggiava l’oceano
Pacifico. Era una spiaggia poco frequentata e molto pericolosa per
via delle forti correnti oceaniche che portavano al largo, molti
nuotatori vi avevano trovato la morte.
Lui
si spogliò e appena nell’acqua si tolse la protesi e si portò
nuotando al largo mentre Mercedes lo guardava e piangeva
silenziosamente.
Il
corpo fu ritrovato tre giorni dopo al largo di Punta Patilla,
Mercedes fu chiamata per il riconoscimento del cadavere.
Pianse
altre lacrime.. ma si era fatta la convinzione che si sarebbero
ritrovati. In un’altra vita. Quando ebbe il nuovo passaporto lasciò
definitamente il centro america, non vi sarebbe mai più tornata.
E’
possibile cambiare radicalmente vita?
Quante
volte si può ricominciare da zero?
(Bernardo
Atxaga, poeta basco.)
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