mercoledì 26 settembre 2018

2010 - LA DONNA DI BOGOTÀ - DON CELESTINO.



Il nostro 2010 corrisponde all'anno tibetano 2137 e secondo i dettami dell'astrologia tradizionale dell’estremo Oriente sembra non essere un’annata confortante. Infatti l'anno in questione e' l’anno della Tigre di metallo che ha degli artigli taglienti (elemento metallo) che generalmente influenzano l'andamento instabile.
La Tigre di metallo (lcags-pho stag-lo) e' anche detta tigre bianca.
L'associazione della Tigre con l'elemento metallo viene letta come disarmonica perché l'energia del legno (energia primaria della tigre) alimenta il fuoco aumentandone l'incandescenza fino al punto di fondere il metallo e il metallo, di contro, trasformato in utensili come un'ascia può distruggere il legno, ecco dunque l'incompatibilità, proprio per questa continua lotta delle energie l'una contro l'altra.
Gli anni della Tigre di metallo non sono anni pacifici, l'ultimo è stato il 1950, segnato dall'invasione del Tibet...

Non è un racconto erotico.
Spazio molto nello scrivere i miei racconti. Molti di loro sono di fantasia o ancorati a ricordi o a momenti e a donne e uomini conosciuti nel passato. 

Colombia, sempre anno della tigre...

Sono gli ultimi giorni di permanenza in Colombia, ho una strana apatia. Mi trasporto pigramente dalla piscina al bancone o ai tavoli dei vari bar del grande albergo vicino a Cartagena. L'incontro con Don Celestino mi ha lasciato anche un’inquietudine difficile da sopire. Inquietudine che poi si rivelerà giustificata.
Che sia maledetto.
L'albergo si riempie di famiglie con bambini e sembra che provengano in maggior parte da Bogotà dove è finito l'anno scolastico. Si fermano per il fine settimana o qualche giorno. 
Corteggio senza molta convinzione Sandra, una ventenne di Calì che potrebbe essermi figlia, una sera sembra che vada, le butto lì che veniamo a trovarla nella sua camera in due, io e un altro italiano pieno di mohjito che cazzeggia con noi, lei ci pensa, tituba e poi sceglie altro.
Più tardi, durante una festa sulla spiaggia la vedo allontanarsi con un ragazzo dell'albergo. Bello e nero come l'ebano. Le auguro mentalmente di godere. Di godersi ogni attimo della sua giovane vita, ma di lasciare da parte la coca.
Poi... poi la vedo.Vedo lei! 
Sono al tavolo e mi passa accanto. Mi manca il fiato.
Quante volte durante i sogni angosciosi nei quali mi sei apparsa, avrei voluto spiegare, cercare di spiegare mentre ti vedevo in quella notte maledetta, mentre rivedevo il tuo sguardo, i tuoi occhi colmi di paura, la tua richiesta di aiuto!
Quante volte avrei voluto chiederti perdono.
Invece mi restava solo un risveglio affannoso, sudato, tremante e pieno di rimorso. Incubi che non mi lasciano da allora, che mi tornano ricorrenti.
Mi resta solo il desiderio di espiare.
Spesso, tanto spesso ho cercato la morte in una vita inutile e piena di rischi.
Ho usato il sesso come droga. Un modo per annullarmi. Per non pensare.
Ma sei tu?
La poca razionalità che ho mi richiama al reale, mi ricorda che sei morta.
In un tempo lontano, in un paese lontano.
Non puoi essere tu.
Sei adulta, allora eri giovanissima.
E' il giorno che precede il mio ritorno in Europa, ho appena confermato il volo.
Mi alzo e ti seguo, guardo il tuo culo, e' il suo culo, indossi una tunica da spiaggia leggerissima, in trasparenza si vede il filo del perizoma e le tue natiche piene. Da questo momento sono la tua ombra. Sei al tavolo con un'altra donna che ti assomiglia, tua sorella? Due anziani, i tuoi genitori? E due bambini, uno dei quali evidentemente tuo figlio.
Tuo figlio.
Mi ricorda un bambino mai nato.
Ora voglio credere che per un miracolo, per una ragione occulta, incredibile, impossibile, tu possa rivivere in lei. Che il destino ti abbia voluto portare qui per poterti finalmente chiedere perdono. Per avere l'oblio.
Sono la tua ombra in quel giorno, in spiaggia, in piscina, a cena, vedo che ti ritiri con il tuo bambino, ti aspetto la mattina seguente, voglio un minuto, un minuto solo per poterti parlare, vedere se il miracolo esiste.
Un minuto da sola.
Ti osservo mentre fai ginnastica sulla spiaggia. Sei sulle ginocchia e ammiro il tuo culo. Ammiro il tuo corpo. Guardo i tuoi capelli e i tuoi occhi neri. Ti ammiro mentre alzi le braccia, le fletti e ti pieghi ancora. Forse mi hai notato, ma probabile che mi consideri solo un qualcuno che cerca di agganciarti.
Faccio velocemente la valigia.
Ancora una volta sono stupido, faccio cose che poi rimpiango amaramente d’averle fatte.
Non riesco a trovarti sola. Faccio portare la valigia all'ingresso e saldo il conto. Faccio chiamare un taxi.
So che sbaglio, so che dovrei restare, ma perché mi comporto così?
Quale e' il motivo per il quale sbaglio sempre? E' una vita che sbaglio.
Ti cerco ancora, sono le due del pomeriggio e ti vedo.
Stai attraversando la terrazza delle piscine. Evidentemente vai verso la tua camera.
Mi precipito e ti chiamo.
-Signora... mi scusi...-
Lei si volta, mi guarda, gentile, disponibile.
-Mi perdoni... una sola parola... con il massimo rispetto...-
Lei mi guarda interrogativa.
-Lei... mi ricorda una donna che ho immensamente amato... Una donna tanto bella come lei... eguale, dio... se la ho amata...-
La sua risata, bellissima.
Come descrivere la sua risata?
Sembrava di piacere, di partecipazione come se mi avesse capito.
Le prendo la mano, gliela bacio e la lascio.
Perché?
Perché…!?
Potevo restare, avere conferma.
Poi il taxi, l'aeroporto e la perquisizione alla quale mi sottopongono mi fanno per il momento scordare quel momento. E' con sollievo che salgo sull'aeromobile. Sollievo di essermela cavata. Maledico ancora Don Celestino, vecchio infame.
Ma poi, a distanza di una mezz'ora, il ripensarci.
Il dolore immenso.
Il chiedermi perché non mi sono fermato e non le ho parlato ancora.
Ora il dubbio non e' chiarito, rimane.
Mi dicevo che dovevo restare, essere certo che non potesse essere lei, si... perché ancora credo, spero, che era lei e con quella risata mi diceva che mi perdonava, che era felice, la' dove e' ora,
che...

Bogotà e' una megalopoli, ha 14 milioni di abitanti.
Ma se e' destino non e' questo a negarmi la possibilità di rivederla, tutto e' possibile... tutto può accadere...

E' solo che siamo in questo maledetto anno della tigre di metallo, ne sento l'influenza negativa.
Si... troppe cose non stanno andando bene. Ho le spine nel cuore e penso troppo spesso alla donna di Bogotà.
Don celestino.
"Cio' che conta nella vita non e' quello che ti succede ma cio' che ricordi. E come lo ricordi per raccontarlo. (Gabriel Garcia Màrquez.)" 

Colombia-gennaio 2010, (anno della tigre di metallo)
-Le donne sono tutte puttane...-.
Lo dice con l'aria d’essere dio e di star dettando a Mosè le tavole della legge, mentre accarezza la ragazza come fosse un gatto.
Io cerco di interromperlo.
-Non solo loro, la verità e' che puttane lo siamo tutti...-.
Ora che lo conosco mi chiedo che ci faccio qui.
Sto cercando di vendere l'anima? A lui? Venderla non per qualcosa di davvero importante ma per denaro? Non mi si addice sacrificarmi idealmente come Giuda, ma sarei qui se non fossi una puttana anch'io? E una puttana senza scusanti, dato non ho la fame atavica di questa ragazza.
Lui non mi ascolta, è perso in se stesso e ora mi sta spiegando come si devono trattare le putas.
Naturalmente il suo credo è il bastone, senza la carota.
Mai portarle in Europa queste puttanelle mi dice, alzano le pretese. Sono belle, sono ammirate, sono desiderate e credono d’essere importanti, uomini affamati di fica stanno loro addosso come cani litigiosi attorno ad un osso e te le portano via, qui invece sono merce inflazionata, c'è tanta di quella fica in giro che non vale nulla.
Lui è Don Celestino.
Non è un prete, il Don è un appellativo di rispetto.
E' un uomo di potere in questo paese graziato dalla natura e dimenticato da dio.
Abita in una villa in riva al Mar Caraibico nel tratto fra Barravieja e Tesajeras, appena fuori dalla statale 90. Una villa enorme, 25 stanze, il parco e la spiaggia privata. E' protetto da un piccolo esercito di miliziani. E' sfuggito per miracolo a due attentati delle FARC, i guerriglieri di sinistra che combattono il potere con i sequestri di persona e gli omicidi.
E' un vecchio Don Celestino, per quello che ne so supera gli 80 e la ragazza che ha sulle ginocchia è giovanissima. Poco più di una bambina. Lui le cambia in continuazione, le compra dai genitori come del pollame. E ogni volta più giovani.
La sua mano scosta i lembi della leggera lunga camicia maschile e le scopre il seno, un seno perfetto, due piccole e tonde cupole di carne soda, strizza con forza un capezzolo, grosso e inturgidito causandole un gemito. La mano passa ripetutamente da una cupola all'altra in lunghe carezze violente. Poi scende lungo l'addome, lungo il ventre leggermente arrotondato e arriva fra le cosce, la costringe ad allargarle mettendo in mostra una meraviglia di vagina. Un grosso monte di Venere nudo da pelo e uno spacco deciso. Ora le dita passano lungo le labbra esterne, gonfie, in lunghi passaggi ripetuti, forzando, facendo intravedere l'interno di un color corallo carico. Ora è aperta, mostra le piccole labbra a forma di ali di farfalla, così come un clitoride consistente, una canocchia di carne rosata.
-Te gusta...?-
Mi chiede mentre la mano la masturba e stringe il clito con le dita crudeli. Gli occhi sono alterati, lucidi e capisco che è fatto. Il vecchio fa uso pesantemente di coca.
-Me gusta... ma sono qui per parlare di affari Don Celestino…-
-Tu scopala questa puta... voglio che le fai male. Picchiala... frustala. Voglio vederla soffrire mentre tu la prendi e poi parleremo di affari...-.
La lascia e beve direttamente a collo da una bottiglia di Moet Chandon. Il mio sguardo ritorna al corpo della ragazza, abbandonato, scosciato.
E' bella, come può essere bella una giovanissima donna. Il corpo aggraziato dalla pelle ambrata, pelle che sembra seta. Ma gli occhi? Gli occhi sono nascosti dalle lunghe ciglia e sono colmi della sua paura.
E ancora mi chiedo perché sono qui. Perché mi sono fatto coinvolgere in questa cosa. E mi rispondo anche, evidentemente perché sono bacato, marcio dentro.
E' presto detto, il vecchio possiede una proprietà in Italia, al suo paese d'origine, fra il Veneto e il Trentino. Una proprietà a fine locazione agricola ventennale. Una proprietà che con un intrallazzo italico fra qualche tempo passerà ad edificabile rendendo possibile una speculazione enorme. Quello che gli sto proponendo è la sua firma a una procura a vendere in cambio di 130.000 euro a ettaro per 13 ettari e qualcosa. A me spetta il 10 per cento se va in porto la cosa ma per lui è una fregatura e anche grossa.

Alla fine che mi costa?
Di fare delle cose che ho già fatto? 
Picchiarla un pò, lasciarle un pò di segni. Violentarla, far godere cerebralmente questo vecchio degenerato. Venduto mi sono già venduto, non c’è nulla di nuovo. Sarebbe solo una volta in più. Di lei sinceramente non ho compassione, anche per me è poco più di un oggetto. 
Ma lui?
Lui...?
Cazzo... io mi vedo in lui!
Mi vedo quando avrò la sua età e mi vedo fare le stesse medesime cose!
E ho pietà di me stesso.
Più tardi nell'accomiatarmi da lui capisco che comunque avrebbe usato anche me, che non avrebbe aderito alla transazione. La sua famiglia non ha mai venduto un metro di terra e il suo legame con essa è l'unica cosa che lo collega alle sue radici in patria. E sa anche del cambio di destinazione urbana.

Gioca con me come un gatto con il topo e questo mi fa sentire un cretino e ho paura. Una paura viscerale.
Mi lascia un attimo e al suo ritorno mi dona una scatola di legno pregiato di sigari. Dei Bolivar Royal Corona extra, Reserva Especial. In suo ricordo mi dice.


Sento un brivido lungo la spina dorsale nell'accettare e non per la commozione.
Ore più tardi lancio la scatola nel Rio Magdalena dal traghetto che mi porta verso Barranquilla e la guardo galleggiare lungo la corrente, destinazione il mare.
Galleggio anch'io ma non so verso dove.
Chissà perché ma in uscita dal paese, in aeroporto, vengo minuziosamente esaminato, bagaglio e tutto, persino sottoposto a ispezione corporale, passato letteralmente al setaccio e noto l’aria di disappunto dei militari antidroga quando non trovano nulla.
Ringrazio la mia intuizione.
Quella di aver buttato la scatola dei sigari.
E maledico Don Celestino. Lo maledico con tutte le mie forze, uomo crudele e vendicativo. Penso agli anni che mi avrebbe fatto passare in carcere.

"Che tu possa morire fra mille tormenti... maledetto vecchio!". 

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