Penso di me...
che ho sempre sbagliato
ma che sono stato aiutato a farlo.
Tibet.
L'estate
di quell'anno andavo ad un lago vicino alla città, c'era uno
stabilimento balneare con un grande pontile di legno dove ci si
poteva stendere per prendere il sole e alcune scalette scendevano
all'acqua.
Ci
andavo per un paio di ore il pomeriggio.
Prendevo
il sole, nuotavo.
Tornavo
a casa.
Quel
particolare pomeriggio c'era affollamento, la gente si accalcava a
breve distanza, dopo un po' che ero steso mi si mise accanto un uomo,
si distese pure lui, diciamo a due metri di distanza, forse meno.
Mi
girai per guardarlo mentre lui ricambiava la curiosità.
Molto
bello. Un fisico non palestrato e ben fatto. Carnagione chiara,
capelli biondi corti e occhi celesti. Un costume bianco. Era in
assoluto contrasto con me, abbronzato e bruno, costume nero.
Non
ero certo in cerca di sesso e se proprio in quel momento, come quasi
sempre, i miei gusti erano rivolti alle donne, ma... provai una
stranissima attrazione.
Biondo,
alto, bello, perfetto... incarnava quello che era il mito
perennemente esistente dell'uomo ariano, una specie di dio nordico o
meglio ancora un Sigfrido. Non so se fu questo che risvegliò il mio
appetito sessuale o forse il mio innato istinto predatore o, per
finire, una crudele voglia di rivalsa senza motivo logico?
Lo
vidi impersonare una figura del mio immaginario, figura sulla quale
ho sempre fantasticato e fantastico ancora e sulla quale riverso il
mio odio e che è certo solo un prodotto del mio cervello mal
funzionante, comunque lo vidi impersonare la figura di un ufficiale
nazista del terzo Reich e che per me c'era la possibilità di
umiliarlo possedendolo.
Mi
vedevo godere nel farlo inginocchiare davanti a me, mi piaceva la
cosa di sottometterlo, di fargli male, molto male.
Di
che nazionalità era?
Mai
saputo. Mi stavo eccitando e avevo una evidentissima erezione, sotto
il suo sguardo interessato mi accarezzai lungamente il membro sopra
il costume, lui mi guardava con evidente desiderio, per farlo cedere
misi la mano dentro e gli mostrai velocemente la cappella tesa.
Non
fu necessario parlare.
Lasciammo
lì i teli, prendemmo... lui lo zainetto, io il borsone e andammo ai
gabinetti. Entrammo senza titubare in uno scomparto libero, si levò
il costume, il suo cazzo era come lui, pallido, dritto e con il
glande roseo, depilato. Levai anch'io il mio. Anche in questo caso
c'era il contrasto, il mio scuro e grosso, con pelo abbondante.
Ci
accarezzammo brevemente a vicenda, si inginocchiò di sua iniziativa
prendendomi in bocca, io appoggiato alla parete di legno gli tenevo
le mani sulla testa, gliela tiravo sul cazzo, gli scopavo la bocca,
era bravo... davvero bravo, lo prendeva tutto dentro, poi leccava e
baciava, succhiava, prima di dargli modo di farmi godere lo
allontanai, capì subito cosa desideravo.
Si
girò... appoggiando le mani alla parete.
Presi
dal borsone un condom, lo misi, non volevo usargli nessuna
delicatezza anzi volevo fargli male. In realtà non feci molta fatica
a incularlo, era abituato, cominciai a sbatterlo forte, una mano al
fianco, l'altra sulla sua nuca a tenerlo chinato, Lo facevo uscire
per poi rificcarlo dentro con forza. Volevo che soffrisse e sapevo
come fare, lo levavo e lo inserivo con cattiveria curando di farlo
entrare nel suo culo non diritto ma con una angolatura anomala, ma
non facevo, in realtà, che aumentare il suo piacere.
Non
durai moltissimo ma abbastanza.
Mi
fece venire con le sue contrazioni, i suoi spasmi, li sentivo dal suo
ano mentre godeva e sborrava. Gemeva piano... i gemiti sembravano il
fare di un coniglio. Ne godevo.
Ci
staccammo, lui uscì per primo, quando tornai al pontile... non c'era
più.
Chi
usò chi?
Nessun
pensiero al riguardo, non era importante, tempo dieci minuti e
l'avevo dimenticato come probabile abbia fatto lui nei miei
confronti.
So
che allora denominai così quell'episodio... “come inculai
Sigfrido”.
Tibet.
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