Ho due amici.
Li ho soprannominati Jack Daniel’s e Zacapa, Jack e Zac.
Jack è quello spudorato, che non si fa problemi a dirti in faccia che ti sbatterebbe al primo muro libero per baciarti e poi ti porterebbe a letto. È quello che senza pensarci un attimo manda a farsi fottere chi lo fa innervosire, che non lesina i vaffanculo. È schifosamente schietto e diretto, nervoso, impaziente, irritabile, geloso e possessivo.
Con Jack si passano le nottate tra amici casinisti e generalmente si finisce talmente sbronzi da non ricordare come si è tornati a casa.
Zac è più pacato, è quello gentile, il tipo che conosce i propri limiti, studia quelli degli altri e sa sempre, o quasi, fin dove possa spingersi. Mai volgare, abbastanza educato, prende sempre la parola per evitare che Jack possa far danni.
È quello che starebbe ore a coccolare una donna, ad accarezzarle una guancia; è lui che, se lei si addormentasse, le sistemerebbe il lenzuolo, scosterebbe un po’ quella ciocca di capelli e starebbe lì fermo, in silenzio, a guardarla, ad ascoltarla dormire.
Con Zac la serata ideale è quella solitaria, al limite con lei, in casa a sorseggiare qualcosa di buono e costoso, ascoltando dei vecchi jazz o dei blues, rigorosamente su vinile perché certi piaceri della vita non possiamo non concederceli.
Insieme formano una coppia male assortita i miei due amici, sono agli antipodi per moltissime cose e spesso in disaccordo. Ma la loro amicizia funziona appunto grazie a questa diversità di vedute e di carattere. E capitano poi quelle volte in cui basta che ci sia tra questi due delinquenti uno sguardo d'intesa, un piccolo cenno del capo e tutto fila liscio. In quelle occasioni con loro nulla accade per caso e tutto ha un senso, e se non c'è un senso, questi due lo trovano.
Tu, arrivata non so come, sei uno di questi casi, e ti ho appena fatto fare un giro nella mia testa presentandoti i miei due neuroni: Jack e Zac.
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