domenica 9 dicembre 2018

SANTINO.


Santino.

Il carcere militare non è molto differente da quello civile. Porte sbarrate, finestre con inferriate. Segregazione. Sadismo. Privazioni. Nel carcere ti formi e ti adegui o muori. Ha ragione Buck (Bukowsky) quando dice che il carcere è l'università della vita e aggiungo io, dove è difficile laurearsi.
Nella nostra stanza vivevamo in cinque, cinque esponenti di una gioventù in sofferenza.
Quattro obbiettori di coscienza, senza colpa se non quella di non condividere le idee di uno stato che ritenevamo militarista ed un altro per finire la ferma di diciotto mesi in prigionia per aver scopato moglie e figlia a un generale.
Eravamo davvero delinquenti? Oh si! Avanzi putridi della società. Esseri inutili.
Lo schema della giornata?
Giorni tutti eguali. Sveglia alle cinque, un quarto d'ora per lavarsi, appello nel cortile. Colazione. La fame? Quanto può condizionare! La fame è il primo dei metodi più efficaci per rendere docili e il bromuro nei pentoloni del mangiare il secondo.
Poi? Una giornata impegnativa. Non ti è permesso annoiarti. La noia uccide e fa nascere cattivi pensieri, magari di ribellione.
Marcia. Esercitazione con le armi (scariche). Corsa. Pulizie infinite. Appelli, contrappelli. Alle sei la cena e dopo l'ultimo appello, in cella, ecco le variazioni al tema? I controlli notturni. Le sirene. I fischietti. Due minuti per raggrupparsi in cortile. Nel freddo, sotto la pioggia.
Chi controllava chi?
Al portone e fuori i Cerberi. Che hanno anche funzione di polizia militare. Quelli che fucilano i loro fratelli ai disastri militari causati dai generali. Non cattivi, solo condizionati.
Dentro? Militari di carriera. Secondini. Anche loro in punizione? Forse si e su chi rivolgevano la loro rabbia?
Ah... c'erano anche celle di punizione, non che cambiasse molto. Erano solo senza finestre sottoterra e con il pancaccio di legno. Uscivi solo per lavare per ore piatti in cucina.
Voglio arrivare a parlare di Santino, ma mi serve tempo.
Chi eravamo?
Io. Avevo su tutti una particolarità forse, era stato mio padre a indicare dove vivevo al momento della cattura. Per il mio bene, certo. E mi aveva disconosciuto di fatto, ero un senza famiglia, a poco più di vent'anni, ventuno.
Giuliano. Veneto. Stessa età. Un bel ragazzo. Bruno, ci teneva ai suoi capelli, vanesio, solo che ti pelavano a zero, per via dei parassiti dicevano. O forse no? O era per demolire anche la nostra voglia di curare la presenza fisica?
La sua caratteristica?
Ahah... aveva sempre il cazzo duro e se lo spugnettava con una costanza encomiabile. Come ci si ritirava la sera lui si sdraiava e lo tirava fuori, lo menava per un tempo infinito. E fra il resto aveva un gran cazzo! Il suo parlare era mentre uno di noi gli passava vicino: “Lo vuoi?”. Ahah... la classica risposta era “giratelo nel culo”! Certo che la masturbazione era di casa, eccome! Ci si masturbava persino con i calendari dei preti, bastava che ci fosse l'immagine di qualche santa.
Ahah! Fisicamente sul metro e ottantacinque, qualcosa più di me. Il suo sogno? Uscire e andare a puttane! O scappare e andare nella Legione Straniera, paradossale, un ossimoro assoluto, pacifista e la Legione.
Sergio. Milanese. Pacifista oltranzista senza mezzi termini, pittore e poeta. Magro, gracile. Già mezzo calvo a ventiquattro anni, occhialuto. I suoi? Gli mandavano in continuazione pacchi viveri con ogni ben di dio! Quelli che gli consegnavano, di quelli spediti dico, li divideva con noi tutti e si mangiava. Buono. Generoso. Idealista.
Alex. Oh... Alex era quello che ci rendeva meno dolorosa la prigione, triestino e ne aveva tutte le caratteristiche, mordace, ironico e crudele anche nel suo prendere in giro ma buono e sempre di buon umore. Il suo cognome prevedeva un Von W... qualcosa, era di una vecchia famiglia austroungarica nobile, bellissimo, per quanto ricordi forse il più bell'uomo mai visto.
Alto, biondo, occhi azzurri. Per poterlo immaginare?
Un Brad Pitt giovane ma con dei tratti di una bellezza classica. Un dio, forse Apollo. Bellezza assoluta. La sua storia? Donne. Autista di un generale si fa la moglie e questo poteva anche andare bene ma quando inizia a scopare anche la figlia, si incazzano tutti con lui e il generale gli fa continuare la ferma in fortezza.
Sante. Ah... Santino.
Siciliano. Analfabeta. Marinaio di barche da pesca. Lo avevano imbarcato come mozzo in età d'asilo e non era più sceso dalla barca. Tenero. Dolce. Accomodante. Non era mai andato a scuola, dite che è incredibile nel nostro paese? Sicuri?
Non sapeva neanche firmare con il proprio nome. Un giorno mentre sbarcava le cassette di pesce, arrivarono i Cerberi. Chiesero se era lui e lo portarono direttamente qui.
Senza famiglia. Senza nessuno. Bello, una bellezza mediterranea, anche femminea nelle sue lunghe ciglia. Pelle scura. Piccolo.
Gli volevamo bene. Servizievole. Sempre pronto a sollevarti da qualche incombenza. Ah, aveva un difetto. Micidiale, la notte non era possibile uscire naturalmente, per le necessità corporali c'era un bugliolo in un angolo e un secchio d'acqua. Beh... quando cacava lui era impossibile resistere. Una puzza incredibile, riusciva a svegliarci tutti! Ed era un correre alla finestra, spalancarla e boccheggiare e maledirlo di continuo. Ah... nessuno cacava come lui.
Ad un certo punto però cambia, parlo di Santino. Non ha più la sua allegria, prima era come avere un uccello canterino in cella con noi, un continuo ciarlare allegro, adesso è cupo, immusonito, risponde a stento, non mangia.
Una delle cose che devi imparare subito in prigione è farsi i cazzi propri. Devi solo pararti il culo. Chiudere occhi e orecchie. Galleggiare. Ma come non accorgersi che quasi ogni notte qualcuno apre la porta della cella e Santino esce? E torna a quasi mattina appena prima del primo appello?
Se hai occhi le vedi le cose, quello che non vedi lo intuisci. C'è qualcuno dei guardiani che lo incula. Lo fa uscire, lo incula poi lo rimette in gabbia. Santino è debole.
Santino è troppo debole e un giorno si immagina davvero di essere l'uccello canterino che pensava di essere e vuole librarsi nell'aria e tornare al suo mare. Va quindi sulle mura della fortezza e si lancia. Solo che non sa volare e si schianta sull'asfalto.
C'è una regola. Tutto deve essere tacitato. Nessuna inchiesta. Santino non si è ucciso, è morto per un tragico incidente, basta così, ieri c'era, oggi non c'è più sul brogliaccio dei presenti. Non ha neanche parenti da avvisare.
La sera.
Io, Giuliano e Alex. Escludiamo Sergio.
Troppo buono, troppo sensibile.
Noi no, non lo siamo. Noi siamo incazzati. Noi siamo vendicativi. Ci hanno reso feroci come volevano renderci.
Chi era?
Il capo guardie, un sottufficiale a fine carriera, brutale e volgare come nessuno. Grasso. Osceno. Brutto. Cattivo.
Dobbiamo essere sicuri di due cose, usare una notte dove sicuramente non ci saranno controlli in cella o chiamate collettive al piazzale. Sergio lavora nell'ufficio del comandante in seconda, può vedere il programma. Ci indica una notte. Ci deve coprire. Questo lo farà, partecipare no.
La sera dopo cena, dopo l'appello serale, anziché ritirarci nella cella ci nascondiamo nel magazzino coperte dove lavora Giuliano. Aspettiamo.
Aspettiamo che tutto si addormenti. Che ci siano nei lunghi corridoi e per le scale solo le luci di emergenza. Arriviamo davanti alla porta, bussiamo.
-Un fonogramma urgente!-
Lui apre brontolando, poi?
Abbiamo cercato di insegnare anche a lui a volare, ma era un cattivo volatore. Cercava di battere le braccia come fossero ali mentre cadeva...
Ricordate la regola? Tutto deve essere tacitato.
Altro incidente, nessuno deve collegare le due morti. E così fu.

Arrivò man mano il momento della liberazione.
Giuliano? Andò a puttane come era il suo sogno continuo.
Alex a Trieste.
Sergio? A Milano a dipingere i suoi strani quadri.
Io sulla strada.
Santino, se esistesse un paradiso e non c'è... sarebbe lì.
Per le creature senza colpa.


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