Santino.
Il
carcere militare non è molto differente da quello civile. Porte
sbarrate, finestre con inferriate. Segregazione. Sadismo. Privazioni.
Nel carcere ti formi e ti adegui o muori. Ha ragione Buck (Bukowsky)
quando dice che il carcere è l'università della vita e aggiungo io,
dove è difficile laurearsi.
Nella
nostra stanza vivevamo in cinque, cinque esponenti di una gioventù
in sofferenza.
Quattro
obbiettori di coscienza, senza colpa se non quella di non condividere
le idee di uno stato che ritenevamo militarista ed un altro per
finire la ferma di diciotto mesi in prigionia per aver scopato moglie
e figlia a un generale.
Eravamo
davvero delinquenti? Oh si! Avanzi putridi della società. Esseri
inutili.
Lo
schema della giornata?
Giorni
tutti eguali. Sveglia alle cinque, un quarto d'ora per lavarsi,
appello nel cortile. Colazione. La fame? Quanto può condizionare! La
fame è il primo dei metodi più efficaci per rendere docili e il
bromuro nei pentoloni del mangiare il secondo.
Poi?
Una giornata impegnativa. Non ti è permesso annoiarti. La noia
uccide e fa nascere cattivi pensieri, magari di ribellione.
Marcia.
Esercitazione con le armi (scariche). Corsa. Pulizie infinite.
Appelli, contrappelli. Alle sei la cena e dopo l'ultimo appello, in
cella, ecco le variazioni al tema? I controlli notturni. Le sirene. I
fischietti. Due minuti per raggrupparsi in cortile. Nel freddo, sotto
la pioggia.
Chi
controllava chi?
Al
portone e fuori i Cerberi. Che hanno anche funzione di polizia
militare. Quelli che fucilano i loro fratelli ai disastri militari
causati dai generali. Non cattivi, solo condizionati.
Dentro?
Militari di carriera. Secondini. Anche loro in punizione? Forse si e
su chi rivolgevano la loro rabbia?
Ah...
c'erano anche celle di punizione, non che cambiasse molto. Erano solo
senza finestre sottoterra e con il pancaccio di legno. Uscivi solo
per lavare per ore piatti in cucina.
Voglio
arrivare a parlare di Santino, ma mi serve tempo.
Chi
eravamo?
Io.
Avevo su tutti una particolarità forse, era stato mio padre a
indicare dove vivevo al momento della cattura. Per il mio bene,
certo. E mi aveva disconosciuto di fatto, ero un senza famiglia, a
poco più di vent'anni, ventuno.
Giuliano.
Veneto. Stessa età. Un bel ragazzo. Bruno, ci teneva ai suoi
capelli, vanesio, solo che ti pelavano a zero, per via dei parassiti
dicevano. O forse no? O era per demolire anche la nostra voglia di
curare la presenza fisica?
La
sua caratteristica?
Ahah...
aveva sempre il cazzo duro e se lo spugnettava con una costanza
encomiabile. Come ci si ritirava la sera lui si sdraiava e lo tirava
fuori, lo menava per un tempo infinito. E fra il resto aveva un gran
cazzo! Il suo parlare era mentre uno di noi gli passava vicino: “Lo
vuoi?”. Ahah... la classica risposta era “giratelo nel culo”!
Certo che la masturbazione era di casa, eccome! Ci si masturbava
persino con i calendari dei preti, bastava che ci fosse l'immagine di
qualche santa.
Ahah!
Fisicamente sul metro e ottantacinque, qualcosa più di me. Il suo
sogno? Uscire e andare a puttane! O scappare e andare nella Legione
Straniera, paradossale, un ossimoro assoluto, pacifista e la Legione.
Sergio.
Milanese. Pacifista oltranzista senza mezzi termini, pittore e poeta.
Magro, gracile. Già mezzo calvo a ventiquattro anni, occhialuto. I
suoi? Gli mandavano in continuazione pacchi viveri con ogni ben di
dio! Quelli che gli consegnavano, di quelli spediti dico, li divideva
con noi tutti e si mangiava. Buono. Generoso. Idealista.
Alex.
Oh... Alex era quello che ci rendeva meno dolorosa la prigione,
triestino e ne aveva tutte le caratteristiche, mordace, ironico e
crudele anche nel suo prendere in giro ma buono e sempre di buon
umore. Il suo cognome prevedeva un Von W... qualcosa, era di una
vecchia famiglia austroungarica nobile, bellissimo, per quanto
ricordi forse il più bell'uomo mai visto.
Alto,
biondo, occhi azzurri. Per poterlo immaginare?
Un
Brad Pitt giovane ma con dei tratti di una bellezza classica. Un dio,
forse Apollo. Bellezza assoluta. La sua storia? Donne. Autista di un
generale si fa la moglie e questo poteva anche andare bene ma quando
inizia a scopare anche la figlia, si incazzano tutti con lui e il
generale gli fa continuare la ferma in fortezza.
Sante.
Ah... Santino.
Siciliano.
Analfabeta. Marinaio di barche da pesca. Lo avevano imbarcato come
mozzo in età d'asilo e non era più sceso dalla barca. Tenero.
Dolce. Accomodante. Non era mai andato a scuola, dite che è
incredibile nel nostro paese? Sicuri?
Non
sapeva neanche firmare con il proprio nome. Un giorno mentre sbarcava
le cassette di pesce, arrivarono i Cerberi. Chiesero se era lui e lo
portarono direttamente qui.
Senza
famiglia. Senza nessuno. Bello, una bellezza mediterranea, anche
femminea nelle sue lunghe ciglia. Pelle scura. Piccolo.
Gli
volevamo bene. Servizievole. Sempre pronto a sollevarti da qualche
incombenza. Ah, aveva un difetto. Micidiale, la notte non era
possibile uscire naturalmente, per le necessità corporali c'era un
bugliolo in un angolo e un secchio d'acqua. Beh... quando cacava lui
era impossibile resistere. Una puzza incredibile, riusciva a
svegliarci tutti! Ed era un correre alla finestra, spalancarla e
boccheggiare e maledirlo di continuo. Ah... nessuno cacava come lui.
Ad
un certo punto però cambia, parlo di Santino. Non ha più la sua
allegria, prima era come avere un uccello canterino in cella con noi,
un continuo ciarlare allegro, adesso è cupo, immusonito, risponde a
stento, non mangia.
Una
delle cose che devi imparare subito in prigione è farsi i cazzi
propri. Devi solo pararti il culo. Chiudere occhi e orecchie.
Galleggiare. Ma come non accorgersi che quasi ogni notte qualcuno
apre la porta della cella e Santino esce? E torna a quasi mattina
appena prima del primo appello?
Se
hai occhi le vedi le cose, quello che non vedi lo intuisci. C'è
qualcuno dei guardiani che lo incula. Lo fa uscire, lo incula poi lo
rimette in gabbia. Santino è debole.
Santino
è troppo debole e un giorno si immagina davvero di essere l'uccello
canterino che pensava di essere e vuole librarsi nell'aria e tornare
al suo mare. Va quindi sulle mura della fortezza e si lancia. Solo
che non sa volare e si schianta sull'asfalto.
C'è
una regola. Tutto deve essere tacitato. Nessuna inchiesta. Santino
non si è ucciso, è morto per un tragico incidente, basta così,
ieri c'era, oggi non c'è più sul brogliaccio dei presenti. Non ha
neanche parenti da avvisare.
La
sera.
Io,
Giuliano e Alex. Escludiamo Sergio.
Troppo
buono, troppo sensibile.
Noi
no, non lo siamo. Noi siamo incazzati. Noi siamo vendicativi. Ci
hanno reso feroci come volevano renderci.
Chi
era?
Il
capo guardie, un sottufficiale a fine carriera, brutale e volgare
come nessuno. Grasso. Osceno. Brutto. Cattivo.
Dobbiamo
essere sicuri di due cose, usare una notte dove sicuramente non ci
saranno controlli in cella o chiamate collettive al piazzale. Sergio
lavora nell'ufficio del comandante in seconda, può vedere il
programma. Ci indica una notte. Ci deve coprire. Questo lo farà,
partecipare no.
La
sera dopo cena, dopo l'appello serale, anziché ritirarci nella cella
ci nascondiamo nel magazzino coperte dove lavora Giuliano.
Aspettiamo.
Aspettiamo
che tutto si addormenti. Che ci siano nei lunghi corridoi e per le
scale solo le luci di emergenza. Arriviamo davanti alla porta,
bussiamo.
-Un
fonogramma urgente!-
Lui
apre brontolando, poi?
Abbiamo
cercato di insegnare anche a lui a volare, ma era un cattivo
volatore. Cercava di battere le braccia come fossero ali mentre
cadeva...
Ricordate
la regola? Tutto deve essere tacitato.
Altro
incidente, nessuno deve collegare le due morti. E così fu.
Arrivò
man mano il momento della liberazione.
Giuliano?
Andò a puttane come era il suo sogno continuo.
Alex
a Trieste.
Sergio?
A Milano a dipingere i suoi strani quadri.
Io
sulla strada.
Santino,
se esistesse un paradiso e non c'è... sarebbe lì.
Per
le creature senza colpa.
Nessun commento:
Posta un commento